La trama
Il film ha inizio nel 1996, quando il giovane Alex ritrova per caso un vecchio gioco da tavolo: Jumanji. Il ragazzo non è però particolarmente interessato alla scoperta. Da appassionato di videogiochi, un simil gioco dell’oca non lo attira di certo. Durante la notte avviene però qualcosa di strano e, quando Alex si risveglia, Jumanji è diventato un videogame con tanto di console personalizzata. Quando però, in preda alla curiosità, avvia il gioco, avviene qualcosa di incredibile.
Vent’anni dopo, quattro studenti in punizione ritrovano la console di Jumanji e decidono di giocare. Appena conclusa la selezione dei personaggi avviene di nuovo qualcosa di impensabile: sono catapultati all’interno del gioco, dal quale esiste una sola via d’uscita: completare la missione. Come se non bastasse, oltre a essere intrappolati nella giungla di Jumanji, sono anche prigionieri dei corpi degli avatar scelti. È così che il timido nerd Spencer diventa il nerboruto avventuriero Smolder Bravestone (Dwayne Johnson) e Fridge, l’atleta popolare, il piccolo Franklin “Topo” Finbar (Kevin Hart); dall’altra parte, l’insicura e asociale Martha assume le sembianze della sexy killer Ruby Roundhouse (Karen Gillan) e Bethany, la più bella della scuola, si ritrova ad avere le non avvenenti sembianze maschili di Shelly Oberon (Jack Black).
Tra Indiana Jones e Breakfast Club
È probabile che qualcuno, a leggere i film chiamati in causa dal titolo, abbia storto il naso. In effetti, questo Jumanji – Benvenuti nella giungla non è certamente ai livelli del classico di Spielberg o del cult con Molly Ringwald, ma è in essi e nel modo di fare cinema che essi rappresentano che il film di Jake Kasdan trova le fondamenta sul quale costruirsi.
La pellicola è infatti un riuscito, anche se decisamente disimpegnato, connubio tra il film d’avventura degli anni ottanta e il teen movie dello stesso periodo. Del primo recupera le ambientazioni esotiche irreali, l’azione e la comicità in bilico tra il muscolare e l’autoironico; del secondo prende la voglia di raccontare una storia semplice, rivolta ai ragazzi e con ragazzi come protagonisti, con al suo interno una morale, un insegnamento – spesso piuttosto semplicistico, in realtà.
Detto questo, è importante sottolineare che in questo nuovo Jumanji non ci sono elementi di particolare pregio, che lo elevino al di sopra della media dei suoi generi di riferimento. Si tratta semplicemente di un film che, senza timore reverenziale, sfrutta elementi già collaudati per raggiungere l’obbiettivo di intrattenere con leggerezza il proprio pubblico. Obbiettivo che viene sicuramente raggiunto, ma mai superato.
Infine, volendo provare a confrontare questo reboot/sequel con il classico del 1995 di Joe Johnston, ci si accorgerà ben presto che il paragone non è possibile. Questo nuovo film, nonosante contenga al suo interno dei riferimenti al suo predecessore, ben poco ha a che fare con lui. Quest’ultimo è un dato che può certamente non piacere ai fan di vecchia data, ma che d’altra parte conferisce unicità all’operazione.
Star power
A contribuire alla riuscita della pellicola è sicuramente l’elevato star power del proprio cast. A partire dalla meno nota Karen Gillan, che ci regala almeno due momenti comici di buona fattura, tutti gli attori compiono egregiamente il proprio compito.
Kevin Hart, da noi ancora non particolarmente famoso ma amatissimo negli USA, recupera dalla sua routine comica alcuni degli elementi più forti e li ripropone adattati al suo personaggio, evidentemente scritto in funzione del suo casting. Jack Black, poi, è completamente a suo agio nella parte della bella nel corpo del brutto, in cui si diverte e riesce a divertire (la scena della scoperta del pene era un potenziale disastro, ma è riuscito a renderla spassosa).
Infine, Dwayne Johnson merita un discorso a sé. L’ex wrestler, almeno a parere di chi scrive, risulta poco credibile nei ruoli seriosi che spesso ricopre nei film d’azione e, in alcuni casi, arriva a essere fastidiosamente grottesco nella ostentazione di virilità che queste parti lo spingono a compiere. D’altra parte, quando si trova a interpretare un ruolo comico, rivela di possedere dei tempi comici efficaci e una irresistibile vena autoironica. Speriamo, in futuro, di vederlo in più commedie e in meno action.