Dopo gli eventi scaturiti dalla guerra civile che ha dato il nome al secondo capitolo su Captain America (Captain America: Civil War, 2016), i quattro Avengers si ritrovano e uniscono le loro forze con quelle dei Guardiani della Galassia per sconfiggere Thanos, che intende raccogliere le sei Gemme dell’Infinito e impossessarsene per dominare l’universo, senza alcun limite.
È ai fratelli Anthony e Joe Russo, precedentemente registi di due capitoli su Captain America (prima The Winter Soldier, nel 2014, e poi, appunto, Civil War), che è stato affidato quello che può definirsi senza ombra di dubbio il progetto più ambizioso dei Marvel Studios. L’intento era quello di dare origine al crossover più massiccio di sempre, il che significa, di conseguenza, dispiegare un gigantesco impiego di tutti i mezzi a disposizione della fabbrica Marvel al fine di giungere alla linea di traguardo che era stata già prevista e calcolata circa un decennio fa. Se Iron Man, Captain America, Thor e Hulk si sono già uniti in un unico, mega-cinefumetto che ha raccolto tutti i fan dei loro quattro rispettivi film, con Avengers: Infinity War le cose si fanno più gustose: quando i quattro vendicatori incontrano il bizzarro mondo dei Guardiani della Galassia ne nascono interazioni, dialoghi, scambi di ogni genere e battute che potranno anche essere tacciate (come già è successo) di eccessiva puerilità, di banalità, ma sanno strappare una risata. Più di una, anche. In Infinity War si combatte per il destino dell’universo, ma non ci si prende mai davvero sul serio: la competizione a suon di sbeffeggi che si innesta fra Thor e Peter Quill, i riferimenti espliciti a mondi cinematografici lontani per tempo e genere – Peter Parker–Spidey sarà anche un pivello, ma è qui un cinefilo che dà del filo da torcere agli adulti e salva persino la pelle a qualcuno grazie alla sua conoscenza di un fondamentale capolavoro sci-fi – sono solo un paio di esempi al riguardo.
Lo spazio siderale pullula di astronavi abbandonate e corpi fluttuanti, pianeti deserti e terre recondite, e con l’apporto di Alan Silvestri alla colonna sonora si ha sovente l’impressione di assistere quasi a una sorta di spin-off di Star Wars, solo con eroi che indossano la calzamaglia anziché tonache da Jedi. Ma in Infinity War il confine fra bene e male non è così netto come si vorrebbe (far) credere: Thanos, villain magistralmente interpretato in performance capture da Josh Brolin, è un cattivo triste e solitario che sogna un mondo nuovo, un cosmo ripulito dal caos e dalle lotte che lo affliggono e lo hanno progressivamente sbriciolato. Appropriarsi del tesoro attorno cui ruotano i discorsi dei protagonisti e le vicende del film significa poter compiere un sacrificio al di sopra della vita e della morte, al di sopra degli Avengers, dei Guardiani e di Thanos stesso.
Pertanto, il clima apocalittico è percepibile dalle primissime scene, se non addirittura dalla scelta stessa di reclutare proprio tutti i personaggi e gli universi esistenti, sebbene discrepanti e divergenti (alcuni meno, alcuni molto), per uno scopo superiore, ma questa serietà, controbilanciata da un’ironia e autoironia con pochi precedenti e sperimentata soltanto nelle più recenti produzioni Marvel, niente può sottrarre allo svago che si trae, e pure in misura copiosa, da questo prodigioso capitolo decisivo.
Il film, scritto da Stephen McFeely e Christopher Markus, regala davvero attimi di puro e radioso cinema, scandito da coreografie da manuale e pregevoli sequenze action, ma nel pandemonio di quest’ultima guerra si scorge qualcosa di più. C’è qualcosa che si spinge oltre il consueto codice morale dell’eroe senza macchia, vincolato a giuramenti e pronto a morire per salvare l’altro. Da grandi poteri derivano grandi responsabilità, certo. Invece adesso, una volta per tutte, i cattivi e i buoni, i vendicatori e i nemici, devono imparare a lasciare andare, a cambiare, anche quando è doloroso, come noi con loro. Questa è, forse, la lezione più difficile di tutte.