Dopo aver convinto il pubblico asiatico, finalmente il 28 febbraio arriverà anche nelle sale italiane Dragon Ball Super: Broly, il nuovo film dell’amatissimo franchise.
Ancora prima di un analisi del film, possiamo parlare già di un pregio di questo progetto, la produzione ha infatti trovato il modo giusto per introdurre nel canone di Dragon Ball la figura del Sayan Broly, da sempre molto amato dai fan, ma che ufficialmente non è mai stato parte della storyline. DB aveva gettato le basi di una sua possibile apparizione durante il torneo del potere, mettendo in campo il potere incontrollabile di Kale, costruito per essere simile a quello del Sayan Leggendario, in questa nuova pellicola canonica però avremo il suo ingresso in grande stile nella saga. Un’avventura che si piazza a livello temporale dopo gli eventi dell’ultimo story arc di Super ( quello del torneo del potere), diventando quasi un episodio d’intermezzo lungo 2 ore.
Possiamo considerare Dragon Ball Super: Broly come un reboot della trilogia filler ( Dragon Ball Z: Le Origini del Mito, Dragon Ball Z: il Super Saiyan della Leggenda e Dragon Ball Z: il Diabolico Guerriero degli Inferi ) che lo aveva visto protagonista in precedenza, da quel trittico vengono prese alcune parti e personaggi, rimaneggiate e fuse per realizzare un vero e nuovo prodotto.
Alla sceneggiatura troviamo Akira Toriyama stesso, che decide di omaggiare questo brutale personaggio ritagliandogli nella trama un ruolo da mattatore assoluto. . In parte il fascino della figura di Broly e del suo tormentato passato ci viene tolto dalla conoscenza pregressa, duplice visto che in parte deriva dalla già citata trilogia di film, in parte dalle similitudini con Kale, del quale sembrerebbe essere il corrispettivo dell’universo gemello, uniti dal legame con i propri cari e dall’incapacità di gestire a pieno la loro potenza di Super Sayan, ne esce quindi una figura leggermente diversa dalle sue prime apparizioni, più selvaggia e ingenua.
Il cartone ha il compito di scavare nella mitologia dei Sayan, un obbiettivo che per concretizzarsi necessita di una scrittura più curata rispetto al solito, portando il livello oltre alla solita scazzottata fra personaggi. Una scelta che dimostra come Dragon Ball Super: Broly provi ad allontanarsi di qualche passo dai cliché che spesso hanno contraddistinto l’opera, uno sforzo reso tangibile dai quasi 40 minuti di prologo.
Una trama con 2 anime e dopo l’introduzione più narrativa, con l’arrivo in scena dei due simboli del franchise, Goku e Vegeta, si torna forse fin troppo velocemente a muoversi nel suo ambiente naturale diventando il classico combattimento. Una lotta che rappresenta la parte più spettacolare del film, una delle migliori fra quelle viste nell’intero universo di DB, mostrando un comparto artistico che vuole e riesce a colpire lo sguardo dello spettatore davanti allo schermo, il climax si raggiunge con l’entrata in scena di Gogeta, la fusione tramite balletto, che come il Leggendario Sayan con cui si scontrerà riesce finalmente a diventare canonica.
In questo trio di protagonisti si erge anche una quarta figura, quella di Freezer, ancora una volta il suo personaggio è la colonna portante della trama, il suo ritorno al lato oscuro lo pone d’obbligo nella lista dei prossimi pericoli che saranno affrontati nel futuro da Goku e compagni.
Ovviamente questo show estetico spegne quasi completamente la narrazione, l’incombenza del finale costringe a chiudere il pacchetto frettolosamente, trasformando Dragon Ball Super: Broly in un film tecnicamente perfetto, ma un po’ lacunoso dal punto di vista della sceneggiatura.
Un film che ovviamente è imprescindibile per tutti gli amanti del personaggio, nonostante un finale che potrebbe lasciare un po’ di amaro in bocca.