Quantum Break: il peggior miglior capolavoro di Remedy

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Non mento se affermo di essere affascinato dai viaggi nel tempo. Chi non lo è alla fine. L’idea di poter vagare nello spazio tempo per incontrare vecchi amici, parenti o semplicemente godersi la vita in un’altra epoca futura o passata, intriga anche l’infante appena nato. Tuttavia, la fisica e in generale la scienza ci suggerisce quanto la possibilità di un ipotetico viaggio nel tempo, possa avere conseguenze catastrofiche nel divenire degli eventi, ma vi è anche la possibilità che il corretto scorrere degli eventi sia la conseguenza del viaggio del tempo di altre persone.
Se è vero che la fantascienza è la filosofia della scienza, capace di visionare il futuro in modo concreto e affidabile, è altrettanto vero che la squadra guidata da Sam Lake, vero veterano del mondo videoludico, è riuscita nell’introspettiva ricerca di un senso del normale scorrere degli eventi, come se loro sapessero effettivamente di cosa stessero parlando. Teorie, contro-teorie, nomi di scienziati mai esistiti che hanno scoperto regole quantiche capaci di intendere il viaggio nel tempo. Ma non è mai facile comprende un’opera ambientata su diversi universi contemporaneamente, soprattutto quando un concetto così moderno si scontra con un level design così vecchia scuola e forse è questo il motivo per cui Quantum Break passerà alla storia. Un gioco che si contraddice così tanto non si è mai visto, ma è anche il motivo per cui Quantum Break è dannatamente intrigante.

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MI PIACE VIAGGIARE

Quantum Break racconta la storia di un gruppo di piccoli geni alle prese con la scoeprta dei mistici viaggi temporali. Il tutto inizia nel 1999, quando Will Joyce, ragazzo prodigio di Riverport, una fittizia cittadina statunitense (ovviamente sono sempre gli americani a scoprire tutto), comprende che i viaggi del tempo sono davvero possibili. Nei successivi undici anni Will continua a perseverare nei suoi studi, compiendo passi da gigante. Nel frattempo, i suoi genitori muoiono in un grave incidente e suo fratello, Jack Joice, viene lasciato in disparte in onore di una causa maggiore: la scoperta scientifica del millennio. Ma non sarebbe una storia intrigante senza un cattivone, ovvero colui che alla fine si rivelerà un ottimo villain, capace di essere il migliore amico dei fratelli nonché la loro distruzione (e dell’intero universo): Paul Serene. Nonostante il cognome possa suggerire una origine italiana, il simpatico uomo d’affari, fondatore della Monarch Solutions, cercherà in tutti i modi di strumentalizzare i viaggi nel tempo per uno scopo non meglio precisato. In realtà lo è, ma per conoscere i moventi di Serene dovrete giocare l’intero titolo, fino alla fine.
Le produzioni basate sui viaggi temporali e interdimensionali, hanno la caratteristica di poter essere compresi sono nel loro diretto finale. La conseguenza di eventi e controeventi non può essere assimilata fintanto non si conoscono le reali conseguenze e Quantum Break non fa eccezione. Tuttavia, sono state fatte delle scelte che in parte minano il folgore di essere all’interno di una trama così intrigante, come per esempio la scelta di proporre al giocatore nell’immediato inizio del gioco una serie di eventi cardine che si riveleranno essere i tratti più importanti del gioco, eliminando in gran parte l’effetto sorpresa. Ma perché farlo? Perché rivelare sin dall’inizio il finale del gioco con una narrazione postuma agli eventi che fa ovviamente intendere il buon fine della vicenda? Durante la mia sessione di gioco, mi sono ritrovato più e più volte a fronteggiare dei Deja-Vu. Il fatto che il mio cervello ricordasse gli eventi proposti nel primo e confuso filmato iniziale, ha creato in me una sorta di memoria attiva che andava a contribuire a rendere il gioco più surreale e veritiero, come se io stesso avessi intrapreso un viaggio temporale. Sono sicuro che Remedy abbia pensato proprio a questo quando ha deciso di creare quel filmato iniziale, con l’idea che il giocatore dovesse sentirsi parte di questo lungo e laborioso viaggio nel tempo. E in qualche modo ci sono riusciti.

CHE BELLO IL 2001citazione1
Remedy è una di quelle software house che zitta zitta ha contribuito in modo concreto all’evoluzione del mondo videoludico. Il primo Max Payne, creato per conto di Rockstar, divenne celebre per la sua capacità di coniugare una forte trama dai toni noir, a un level design eccezionale condito da un livello tecnico soprannaturale, ma pur sempre legato al concetto di tempo. I poteri che Jack Joyce acquisisce, non sono altro che l’estremizzazione del Bullet-Time introdotto in Max Payne e tutto riconduce al fascino che Remedy prova nei confronti del concetto di spazio-tempo. La potenza di Xbox One ha permesso al team finlandese di esprimere al meglio la loro passione per il tempo, riuscendoci tuttavia con uno strano tocco retrò. Il gameplay di Quantum Break non si dimostra fresco e nemmeno innovativo, anzi: tutt’altro. In un certo senso, la modalità con cui Jack Joyce inizia a manovrare i propri poteri ricorda molto le vicende dei personaggi presenti nella saga di inFamous, i cui protagonisti in fretta e furia padroneggiano con maestria la nuova condizione fisica. In un certo senso le analogie con il titolo di Sucker Punch sono davvero molte e mi sarebbe piaciuto che Quantum Break fosse stato creato in un ambiente Free Roaming e chissà che un ipotetico secondo capitolo non sia proprio così. Il tutto però viene circoscritto a un gameplay ad “aree”, tipico dell’era Ps2, ove il giocatore era portato a combattere in sorta di arene per passare all’area successiva. Non ci sono script di sorta che vanno a guidare il giocatore nelle fasi di combattimento (ad eccezione di quelle platform) e i personaggi si muovono quasi con spontanea volontà all’interno delle grandi aree di gioco, ove la modesta intelligenza artificiale cerca in tutti i modi di sopraffare Jack con strategie piuttosto efficaci. In un certo senso, un gameplay ad aree mi ha fatto letteralmente tornare indietro nel tempo, ma è innegabile la maestria di Remedy nel creare produzioni simili, poiché effettivamente molta libertà d’azione viene lasciata al giocatore, con la possibilità di sfruttare ogni centimetro quadrato dell’area di riferimento. L’impanto retrò di Quantum Break va presto a collidere con la moderna concezione di narrativa, che in modo innovativo va ad affrontare gli eventi del gioco. La prima volta che ho concluso un livello e ho potuto vedere le conseguenze delle mie scelte in una serie tv con attori veri e in carne e ossa, sono davvero rimasto davvero a bocca aperta. Penso che l’innovazione di Remedy possa essere capace di rivoluzionare per sempre la concezione di trama di tutti i videogiochi ad alto budget, perché sinceramente questa scelta mi ha entusiasmato.
La recitazione degli attori in carne e ossa è pregevole se confrontata con gli standard dei “live in action” dedicati ai videogiochi, ma ancor più spettacolare è il come gli eventi narrati nella serie Tv vanno a coincidere con la controparte ludica, nonostante i diversi personaggi e obiettivi. Quantum Break è quindi la prima opera videoludica completa, che permette al giocatore di scorgere la trama del gioco sotto diversi punti di vista e soprattutto con mezzi di intrattenimento assolutamente diversi: il videogioco e il Serial Tv. La fusione di queste due tecniche narrative, ha dato vita a un esperimento che sicuramente rimarrà nella storia dei futuri annali dell’universo videoludico.

ADORO I PIXEL
Dal punto di vista tecnico, Quantum Break è al momento la migliore espressione visiva di Xbox One. Nonostante sulla scatola di Microsoft giri a 720p, graficamente il titolo è pregevole e pieno di effetti post-processing davvero da urlo. Purtroppo però la pulizia generale è scarsa e per godersi le sorprendenti texture vi è bisogno o di un buon televisore o di un buon occhio. I modelli poligonali sono al limite del fotorealismo, nonostante la regia non cerchi in alcun modo di enfatizzare i tratti stilistici della produzione. Sembra infatti che Remedy faccia di tutto per non farci sorprendere dell’ottimo livello tecnico, con una telecamera che poche volte va a inquadrare nel dettaglio gli svariati modelli poligonali senza tentare minimamente di autocelebrare i progressi tecnici del codice di gioco (qualcuno ha detto Killzone: Shadow Fall?). Sta di fatto che ogni elemento a schermo è curato nei minimi dettagli, in pura tradizione Remedy. La gestione dell’illuminazione globale crea un effetto visivo molto piacevole, ma poco cinematografico. Solitamente infatti, l’impiato di illuminazione di un titolo viene costruito in modo tale da poter creare suggestivi scenari che possano contribuire a rendere più affascinante il colpo d’occhio. Questo in Quantum Break non succede, ma accade l’esatto contrario. La creazione di Remedy è un tripudio di tecnologie, a partite dalla già citata illuminazione globale che va conseguentemente a creare ombre veritiere e dinamiche gestendo tra le altre cose un sacco di fonti di luce del tutto indipendenti, a un antialiasing potente che giusto in tempo fa scordare di essere in 720p e soprattutto una fisica da urlo che rende mobile qualsiasi oggetto a schermo. A partire dalla chicca della distruttibilità di alcuni oggetti a bottiglie che si infrangono a suon di fucili a pompa, il motore fisico implementato in Quantum Break è solido e certosino e riesce nell’obiettivo di restituire al giocatore l’idea di essere in un mondo in cui sono vigenti dei veri teoremi fisici. E sorprendente osservare una tale mole di dettagli essere corredata da un motore fisico così potente riuscire a girare a 30 frame al secondo granitici su Xbox One, segno che Remedy, nonostante le sue rinunce, sia stata capace di ottimizzare un motore grafico pazzesco in grado di sfruttare al meglio le potenzialità della Scatola X (anche se su Pc, come descritto in questo articolo, fa davvero i capricci).
Le animazioni corporee sono perfette, mentre il viso dei personaggi principali e secondari si comporta in modo fotorealistico. Mi piace però sottolineare la cura con cui i personaggi sono vestiti, i cui indumenti sembrano essere letteralmente indossati dai vari NPC e non solo disegnati sui loro corpi. Un dettaglio davvero da urlo.

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Il livello di dettaglio è estremo e la gestione della luce ottima

IL PECCATORE SI FACCIA AVANTI
Dove Quantum Break pecca? La produzione di Remedy non è esente da imperfezioni. Nel caso della versione italiana, il doppiaggio si dimostra in molti casi insufficiente, con un cast di doppiatori per i personaggi principali forse non azzeccato. La stessa cosa non si può dire della versione in lingua originale, perfetta e interpretata in modo maniacale. Lo scorrere degli eventi è forse un po’ troppo veloce e a tratti illogico. A partire da come Jack riesce a padroneggiare i suoi poteri fino a comprendere i motivo dell’esistenza degli stessi, sembra che Remedy non si sia concentrata affatto a creare un inizio di trama forte e convincente, che lascia il giocatore interdetto per gran parte del gioco. Nel mio caso, sono rimasto titubante nelle prime fasi iniziali, bocciandole come troppo frettolose e non in grado di donare al giocatore l’enfasi giusta per proseguire nell’avventura. Tuttavia, il tutto si snoda nel corso del gioco, ove Jack tassello dopo tassello riesce a ricostruire la serie di eventi che a portato l’esistenza della “Fine del Tempo“, quello stadio dello spazio-tempo causato da una frattura temporale che Jack Joyce e amici vogliono assolutamente evitare. Tuttavia, forse anche a causa di una regia molto antiquata, Quantum Break non riesce a dare enfasi sugli eventi e nel mio caso, anche nei colpi di scena più intensi, non mi sono scomposto più di tanto. Il linguaggio narrativo, fatta eccezione per la serie tv, è primordiale e forse inadatto per spiegare eventi così complessi come quelli narrati, anche se tale scelta contribuisce a rendere il titolo più vero e quindi più solido.
Non mi sono piaciute invece le stasi, quei momenti in cui il tempo si ferma per un periodo più o meno lungo permettendo a Jack di vagare indisturbato alla ricerca dei suoi obiettivi. Le stasi sono secondo me troppo telefonate e soprattutto troppo assurde e anche loro incapaci di creare il corretto effetto mistico che sinceramente mi sarei aspettato. Forse, proprio il motivo per cui i vari freeze compaiono all’improvviso, non da il tempo al giocatore di comprendere quello che sta accadendo, motivo per cui non si viene colpiti dalla direzione artistica che, seppur eccellente e ispirata, nel mio caso non è riuscita a sorprendermi.
Lo dico: la squadra di Sam Lake ha creato un titolo incredibile dal punto di vista puramente artistico, ma le fasi più suggestive sono limitate dal veloce scorrere degli eventi, come se quei meravigliosi frangenti fossero solo piccoli spunti in un oceano di eventi. Questo secondo me ha limitato molto l’impatto che la direzione artistica avrebbe dovuto esercitare sul giocatore e nonostante oggettivamente queste fasi risultano meravigliose, non convincono. Ho cercato di rifletterci sopra e penso che il problema sia semplicemente l’impossibilità da parte del giocatore di immedesimarsi nei panni di Jack. Effettivamente non c’è praticamente tempo per affezionarsi al protagonista principale e nemmeno per conoscerlo. Oltre a questo, egli non sembra essere assolutamente spaventato dagli eventi che gli accadono attorno, contribuendo a creare un muro tra il giocatore e il personaggio che non permette in alcun modo uno scambio reciproco di empatia.
Nonostante le stasi, nonostante le fasi in cui il tempo rivela eventi segreti a Jack e nonostante le sparatorie, Jack non batte ciglio, come se tutto quello che sta affrontando sia completamente normale. Ebbene: l’incapacità del personaggio di trasmettere emozioni fusa con l’assenza di una vera e propria colonna sonora, fanno di Quantum break un gioco artisticamente eccellente, ma incapace di sorprendere.
A difficoltà normale ho completato il titolo in circa 10 ore, ma è giusto rivelare che buona parte le ho spese per leggere la caterba di documenti presenti nel gioco, che aiutano il giocatore a comprendere lo scorrere degli eventi. Giusto inserire un sacco di testi sparsi tra i livelli, ma sarebbe stato sicuramente più ispirato se tali eventi avessero preso vita con flashback o filmati dedicati, secondo me, anche perché gran parte di essi risultano essere fondamentali per la corretta comprensione della trama.

DOVE STA LA MAGIA
Le ultime righe le voglio spendere per fornire un suggerimento a chi, come me, ha giocato Quantum Break al Day One. Il mio più spassionato consiglio è quello di iniziare una nuova avventura con jack e amici, poiché non sarà più lo stesso. Affrontare gli eventi avendo già in mano tutte le informazioni necessarie per comprendere quanto accaduto, permette un walkthrough più piacevole e comprensivo, capace di far vivere una esperienza completamente diversa e sicuramente migliore rispetto alla prima “run”. Inutile dire che la difficoltà “difficile” è davvero ostica e adatta effettivamente a chi, dopo aver completato il titolo già una prima volta, vuole affrontarlo sotto una luce ancora più retrò, ove la trama di gioco passa in secondo piano data la difficoltà dei diversi livelli.

Mi sento di consigliare Quantum Break. E’ contraddittorio: l’eccellente livello tecnico non è enfatizzato e non si fa godere, la forte trama è raccontata un un modo eccezionale che tuttavia non riesce a fare presa sul giocatore, mentre il gameplay con forti elementi moderni si scontra con una concezione di level design antiquata e non più utilizzata.
Remedy ha creato un vero paradosso, un titolo che piacerà solo ed esclusivamente a coloro che vogliono godere di una produzione complessa, tecnologica e dannatamente old school. Se quindi ha più di vent’anno e hai giocato al primo Max Payne e ad Alan Wake adorerai Quantum Break. Se invece sei cresciuto a pane e videogiochi commerciali scadenti, sicuramente Quantum Break non ti piacerà, ma ti permetterà di osservare sotto un punto di vista estremamente diverso il media videoludico.

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Assolutamente perfetto

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  • Grafica
  • Gameplay
  • Trama
  • Direzione Artistica
  • Sonoro
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Giudizio Personale

4/5 è un ottimo voto per una produzione sperimentale. Avrei voluto che Quantum Break fosse diverso, un’opera capace di trascinare il giocatore dall’inizio alla fine del gioco senza annoiarlo, ma non riesce nell’intento di far appassionare. Remedy si è affidata a un impianto di gioco d’altri tempi, ma il gameplay poco profondo (seppur divertente), unita a una empatia minima che si instaura con il protagonista, non mi hanno fatto gridare al miracolo. Oltre al livello tecnico, ottimo ma poco enfatizzato, sembra che Remedy abbia completato il gioco in fretta e furia 2 anni fa, per poi concentrarsi sull’ottima serie Tv.
A conti fatti, una narrativa innovativa ma poco efficace, un gameplay basilare, un level design perfetto a livello ingegneristico ma poco ispirato, non mi hanno affatto convinto. Mi aspettavo un gioco dannatamente filosofico, invece Quantum Break è più reale e concreto di qualsiasi altra produzione.

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Marco Masotina

Tosto come un Krogan, gli piace essere graffiante e provocante per scoprire cosa il lettore pensa dei suoi strani pensieri da filosofo videoludico. Adora i lupi, gli eventi atmosferici estremi, il romanticismo e Napoleone.