Tanto interessante è il clamore che stanno facendo suscitare tutti gli episodi di ban perpetrati verso gli utenti che hanno fatto uso di cheat in Overwatch, FPS esclusivamente online targato Blizzard che ultimamente ha raggiunto i 7 milioni di giocatori e sta dando pane da mordere alla comunità videoludica online.
Questa volta infatti ad essere sotto i riflettori non è il deretano estremamente ben modellato di Tracer (una sensuale protagonista del gioco, che qualche tempo fa ha fatto indignare una parte della community per via della sua posa sexy, portatrice secondo i più critici di stereotipi negativi sulla figura della donna), bensì le misure di sicurezza e di punizione che Blizzard sta attuando nel contrastare il fenomeno dell’hacking nei server della propria opera.
Come scritto nel report di Pcgamer.com, e come è possibile carpire facendo qualche breve giro nei forum interessati, la politica di tutela adottata in questo caso non lascia spazio a compromessi ed basata sulla tolleranza-zero: i cheaters sono istantaneamente esclusi dal gioco, il loro account Battle.net sospeso, i loro nomi pubblicati online nella lista nera, e qualsiasi nuovo tentativo di accesso, anche a seguito dell’acquisto di un’altra copia del titolo e ad un’ulteriore iscrizione, è perentoriamente stroncato.
Alla richiesta di informazioni sul ban Blizzard taglia corto e invita l’utente a revisionare il contratto sulla policy che ha accettato mentre procedeva all’iscrizione, evidenziando come tutte queste decisioni fossero messe in chiaro fin da subito e come sarebbe poi stata responsabilità del giocatore tenerne fede, acconsentendovi.
Gli strumenti di rilevamento dei cheaters di Blizzard sembrano poi assolutamente efficienti, stupendo per precisione e velocità di azione. Pochi hacking tool sono in grado di farla franca, e hanno comunque vita breve. Sui forum le lamentele sono accompagnate da discussioni su come poter raggirare il controllo, ma gli sviluppi sono (fortunatamente) irrisori e sempre molto limitati. Neanche il cambio di ID, dell’indirizzo Mac o l’uso di VPN aiutano, vanificando l’esborso di soldi tentando nuovi acquisti del gioco.
Considerando la natura strettamente online di Overwatch, essendo il suo funzionamento retto unicamente dalle esperienze complessive degli utenti e dal loro interagire armoniosamente, è naturale per Blizzard investire così tanto nella sicurezza e nel cassamento di chi bara. Un videogioco funziona solo grazie alle meccaniche, a prescindere dal tipo, e se queste meccaniche vengono alterate o direttamente colpite allora il videogioco non esiste più. Overwatch è uno sparatutto competitivo online, il bilanciamento tra armi, poteri e personaggi è fondamentale: se anche un solo giocatore contravviene alle regole, allora pure le esperienze di gioco di tutti gli altri utenti iniziano a risentirne. Il fenomeno deve essere costantemente controllato e limitato, per il bene dell’intero ecosistema che la software house ha messo in piedi.
Le metodologie adoperate da Blizzard potranno apparire poco ortodosse per alcuni (io stesso sono dell’idea che, in genere, un sistema di strike possa comunque portare più benefici sia per l’utente che per la software house, non perdendo essa in questo modo dei giocatori), ma nel complesso svolgono un ottimo ruolo di deterrente e, con le buone o le cattive, gli atteggiamenti truffaldini finiscono automaticamente per essere scoraggiati.
Non è inoltre possibile dire che Blizzard sia in qualche modo “ingiusta” (come millantano a torto alcuni degli utenti banditi), essendo l’intera politica del ban ben chiara durante l’iscrizione e accettata nell’utilizzo del software. Ogni utente durante l’acquisto e l’installazione di un videogioco è sottoposto a precise responsabilità, la cui contravvenzione è sempre pagata a proprie spese. Tentare qualsiasi ripicca su questo fronte non solo è inutile, ma anche fonte di scherno e vergogna, secondo il mio parere parecchio meritati.
In conclusione, una presa di posizione così pragmatica nella gestione dei cheater è sicuramente da lodare, e anche pensandola un poco diversamente Blizzard merita un riconoscimento per il coraggio di escludere completamente alcuni dei propri utenti giocanti, che sono sì dannosi per il titolo ma pur sempre giocanti.
Forse la definizione di “giusto” o “sbagliato” in questo caso è sottile e varia parecchio in base alle politiche interne dei team di sviluppo (molto spesso è anche una banale questione di soldi), ma se sul lungo termine questa scelta si rivelerà favorevole nei confronti di Overwatch, allora la vedremo sempre più spesso in molti altri titoli.
La posizione di Blizzard è assolutamente giusta