Otaku: cosa c’è di male?

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L’orgoglio di essere otaku (si avete capito bene)

In questi giorni ho riflettuto molto su un argomento: c’è gente che si definisce appassionata di anime e manga, fa cosplay, va alle sagre dei fumetti, ascolta musica giapponese e poi … si arrabbia se viene definito/a otaku. Io mi chiedo dunque … ma che male c’è, qual è il vostro problema, dove nasce tutta questa paura o disprezzo nell’ essere chiamato/a otaku? Ma innanzitutto sapete cosa vuol dire otaku? Otaku è un termine della lingua giapponese che dagli anni ottanta indica una subcultura giapponese di appassionati in modo ossessivo (e qui secondo alcuni casca l’asino) di manga, anime, e altri prodotti ad essi correlati. In occidente il termine viene usato per indicare sia specificatamente gli appassionati di cartoni animati e fumetti giapponesi, sia le persone appassionate, in generale, di quello che proviene dal Giappone Quindi in poche parole è una persona che pensa sempre ad animazioni giapponesi, così si può dire, e tutto ciò a cui esso è collegato. Ma scusate, quindi è meglio non essere definito otaku perché la gente potrebbe pensare che sei un ossessionato o malato di anime, manga e così via? Perché in Giappone, spesso l’essere otaku da inizio ad implicazioni negative in riferimento a persone monomaniache o socialmente isolate. Ma scusate qui in Italia è anche così? Io ho chiesto ad un paio di ragazzi e mi dicono: “ma no, ma vabbè, tu non puoi prendere un termine e usare solo ciò che ti conviene” e io penso: “ma che cazzate (perchè quando ci vuole ci vuole) state dicendo ?! Scusate ma allora mi state dicendo che i VERI otaku vivono in un loro mondo immaginario, escono solamente per comprarsi manga o cos’altro, non hanno vita sociale e passano il loro tempo chiusi nelle loro stanze? E questo che pensate quindi? Uno non può definirsi otaku che la gente se ne esce dicendo questo? In italia,oddio, gente così non esiste, noi tutti, per quanto minima, abbiamo una vita sociale al di fuori di questo mondo, ma questo implica che non possiamo avere il piacere di definirci otaku? Si proprio così, è questione di piacere, gente così fin dalle origini cerca un appartenenza sociale e si dì identifica sotto questa vasta categoria che è quella degli otaku. Ma scusate allora, se incontro qualche ragazzo/a a cui piacciono le mie stesse cose e diventiamo amici, usciamo, andiamo a comprare manga e modellini di personaggi insieme, non abbiamo una via sociale, non abbiamo amici? E questo quindi diminuisce la nostra passione per gli anime o manga o quel che sia? Ma che … state dicendo? Può darsi magari che UN TEMPO era come dicevate voi, che erano persone senza vita sociale o altro, a me sembra sinceramente che il significato di otaku stia pian piano cambiando anche in Giappone, o meglio, sono gli stessi otaku più estroversi a cercare di farlo cambiare, facendo vedere di essere persone tutto sommato normali, con una grande passione per manga e anime. Sono proprio loro ad autodefinirsi otaku (e non penso vogliano offendersi da soli), ciò significa che per loro l’otaku non è un fallito, ma un semplice appassionato . Poi se certi giapponesi fanno di tutta l’erba un fascio e associano questi otaku al tipo asociale e trasandato, sono loro che sbagliano, secondo me. Questo discorso l’ho affrontato anche ieri su un post di Facebook, mi sono pure unito ad un gruppo intitolato otaku ecc, e ho mandato un post con la scritta otaku e sono arrivati messaggi del tipo: “ma che schifo, ora prendo una mazza e ti vengo ad ammazzare, la merda formato persona” e così via per poi definirsi loro stessi otaku ma non lo vogliono ammettere. MA SIETE SERI????!! Come ho già ampiamente detto per me non è per niente offensivo, è solo questione di essere appassionati, di gusti, non di immagine e di come ti vedono gli altri, io mi definisco otaku, volete odiarmi per questo fare pure, non cambio le mie passioni.

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There are 2 comments

  1. Io penso che l’accezione negativa del termine “Otaku”, sia dovuta dal fatto che fin troppe persone ostentano una passione non loro.

  2. Onestamente non un grande articolo, non solo per la frase
    copiata papale da Wikipedia, ma anche per la mancanza di un approfondimento del
    termine. Se l’autore avesse continuato a leggere la stessa pagina dedicata agli
    otaku, così come altre fonti che trattano il fenomeno otaku, si sarebbe reso
    conto che il suo ragionamento non fa che scrostare la superficie di quello che
    è il discorso sulla subcultura otaku, sia come accezione positiva che negativa.
    Termini come nerd, otaku, geek sono utilizzati in modo sempre più improprio,
    sia da parte di chi li identifica come figure positive che negative e
    pochissimi hanno chiaramente in testa cosa il termine stia a significare e
    quali caratteristiche rendono una persona facente parte di quel gruppo che si
    identifica in quella cultura.

    Il termine otaku poi cambia totalmente di significato al di fuori del
    territorio giapponese: molti gaijin (passatemi il termine) sono convinti che
    otaku voglia intendere una persona amante di diversi aspetti della cultura
    moderna giapponese e più in generale del Giappone, a volte anche in modo
    ossessivo, quando il termine al di fuori del territorio giapponese ha ormai
    perso il suo senso originale. I peggiori comunque sono coloro che amano definirsi
    okaku perché “amano gli anime ed i manga” quando poi magari scopri
    che al massimo consocono Fairy Tail ed Hetalia dei quali ha guardato le puntate
    in streaming o letto le scan su internet mentre si ascoltano i dischi di
    Hatsune Miku, anche quelli ovviamente scaricati.

    Per tornare al discorso principe, l’essere otaku può avere più di un’accezione
    positiva: per anni la subcultura otaku è stata la fucina delle produzioni
    giapponesi che gli otaku nostrani sostengono di amare e l’underground otaku concentra
    al suo interno lo spirito creativo della cultura pop e capitalista giapponese
    odierna. Produttività rimane comunque la parola d’ordine, il Giappone condanna
    chi non è produttivo, chi non studia né lavora, ovvero i cosidetti NEET (Not (engaged) in Education, Employment or
    Training), sarebbe un vero disonore. Ecco da dove emerge l’accezione negativa
    del termine: l’essere otaku, ovvero l’essere a casa (o taku, a casa propria) a
    far niente, non nel senso che non esci per giorni perché ti devi sparare la
    maratona di episodi di One Piece, ma nel senso che stai a casa a dedicarti ai
    tuoi futili interessi anziché essere un membro attivo e produttivo della
    società giapponese.

    Trovo che tutti questi temi che mi sono trovato a toccare in questo mio
    incasinato excursus non siano stati minimamente considerati in quello che
    dovrebbe essere un approfondimento che di fatto (secondo il mio giudizio) non
    approfondisce nulla, ma non fa altro che trattare l’argomento basandosi su
    quello che è un’idea errata del termine otaku.

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