The Last Guardian rappresenta per molti videogiocatori il sogno proibito mai corrisposto, il “vaporware” per eccellenza, quel titolo annunciato e rimandato così tante volte che ormai proprio non ci speri più. Non stupisce quindi che la sua ri-apparizione all’E3 dell’anno scorso abbia fatto tanto scalpore, e lo stesso vale per l’annuncio della data di uscita nell’ultima conferenza Sony all’expo losangelino (che è, ricordiamo, il 25 Ottobre 2016).
Questa fama da “videogioco fumoso” non equivale però mai e in nessun caso ad un bene, neanche a livello pubblicitario. Da una parte i continui rinvii dell’uscita presagiscono soltanto uno sviluppo travagliato, fatto di repentine modifiche e passaggi di mano delle cui conseguenze soffrirà inevitabilmente la qualità finale del gioco. Dall’altra le aspettative dei fan sono direttamente proporzionali al tempo necessario per la pubblicazione, questo significa che in caso di “fallimento”, o comunque di difetti evidenti, l’opinione pubblica recepirà il tutto come molto più grave e meno perdonabile.
Ecco perchè, spezzando una lancia in favore di The Last Guardian, mi piacerebbe che fin da subito il pubblico dei gamers si concentrasse su cosa effettivamente questo titolo ha intenzione di offrire, rapportandolo quindi a ciò che furono ICO e Shadow of the Colossus, ovvero delle opere dalla realizzazione tecnica discutibile ma forti di un pathos unico, delle meccaniche originali (implementate anche magistralmente), una direzione artistica incredibilmente ispirata e una concezione atipica di “videogioco”, più incentrata sull’atmosfera che l’esperienza “ludica” in sè.
Le ultime dichiarazioni di Fumito Ueda, “papà” del Team ICO e di The Last Guardian, non fanno altro che rinforzare la mia idea su quello che probabilmente sarà quest’opera, dichiaratamente diversa da ciò che il mainstream si aspetta, e con un sapore indie spalleggiato da un budget di tutto rispetto:
“Il ragazzo e Trico possono comunicare soltanto a gesti, movimenti e reazioni, quindi la narrazione grafica è stata l’approccio migliore per realizzare e mostrare il racconto. Io cerco sempre di convogliare emozioni umane usando la tecnologia, ma in questo caso mi è sembrato che il modo migliore di esprimere una varietà di emozioni ed espressioni fosse tramite un animale.
All’inizio del gioco usiamo la voce fuori campo del ragazzo, da adulto. Ci aiuta a offrire un senso del contesto laddove gran parte della comunicazione è non-verbale e serve ad avvicinare il giocatore al ragazzo, perché può avere accesso diretto ai suoi pensieri. Inoltre ci offre un modo naturale di dare consigli, informazioni e spiegazioni al giocatore.
Uno dei miei momenti rivelatori preferiti del gioco è quando il ragazzo sta cercando di spiegare qualcosa a Trico e finalmente ci riesce. Questo lega non solo i personaggi, ma anche il giocatore perché prova lo stesso senso di realizzazione del ragazzo. Volevamo anche offrirvi qualche retroscena in più sulla storia del ragazzo rispetto a ICO e Shadow of the Colossus.
Lo sviluppo del loro legame è il tema fondamentale del gioco, ma la grande differenza tra questo e il rapporto in ICO e Shadow of the Colossus è che c’è una dinamica ancora maggiore tra il ragazzo e Trico. Fin dal primo momento, il ragazzo non sa con certezza se Trico sarà un amico o un nemico, e il giocatore deve cercare subito di colmare quel divario comunicativo. Ma al posto del rapporto più diretto che abbiamo visto in ICO e Shadow of the Colossus, qui osserveremo gli alti e bassi drammatici della loro relazione…
Come superare in nemici? Collaborando. Il ragazzo non possiede capacità di combattimento, quindi dovrà collaborare con Trico per superare le minacce. Con ICO ci eravamo concentrati di più sugli enigmi per salvare la principessa Yorda e in Shadow of the Colossus avevamo concentrato l’azione del giocatore sulla sconfitta a tutti i costi dei colossi. Con The Last Guardian abbiamo esaminato l’evoluzione del rapporto tra il ragazzo e Trico e le sfide che si ripresentano mentre cercate di svelare i misteri del gioco. Ma abbiamo ottenuto molto anche nei momenti più tranquilli della storia e senza queste pause più pacifiche probabilmente non saremmo riusciti a raggiungere la portata e la varietà del loro rapporto, né tanto meno i momenti decisivi.”
Il legame tra il protagonista e Trico, l’enorme creatura gatto-forme, è senza dubbio l’aspetto chiave che donerà una personalità tutta propria all’opera. E questo era forse fin troppo chiaro, ma in caso non si fosse capito ci ha pensato il director ad esplicitarlo. Quelle che invece mi hanno colpito sono state le prime parti di queste dichiarazioni, dedicate piuttosto al tema della narrazione grafica all’interno di TLG e in grado di offrire non pochi spunti di riflessione su tutto l’universo videoludico.
Il medium di cui parliamo è ancora (troppo) giovane, molto diversificato al proprio interno e senza una identità ben precisa. Questi sono però anche dei punti di forza, e difatti nonostante le produzioni più blasonate finiscono spesso con il sovrapporsi o assomigliarsi, sulla scena indie (e non solo) l’originalità pare all’ordine del giorno, con modi sempre nuovi di raccontare storie. The Last Guardian allo stesso modo sembra che farà della narrazione visiva il proprio blasone, un manifesto, allontanandosi dalle lunghissime cutscene iper-spettacolarizzate o i dialoghi esasperati, e lasciando al giocatore il piacere di scoprire la storia, il mondo di gioco, la psicologia dei personaggi e persino le informazioni accessorie quasi esclusivamente tramite i propri occhi.
Troppo spesso la componente “video” della parola “videogioco” viene dimenticata, e si sottovaluta uno strumento di comunicazione potentissimo che gli sviluppatori non si rendono conto di possedere. Sembra che l’unico modo per ricorrere alla cosiddetta “comunicazione non-verbale”, resa cioè esclusivamente in forma grafica, sia quello di essere costretti a farlo: “non abbiamo i soldi per mettere in piedi qualcosa di classico, allora puntiamo sul lato artistico”. Colori, forme, animazioni, le inquadrature e le proprie composizioni, sono tutti elementi che nel loro insieme concorrono a creare un quadro comunicativo molto più definito e meno astratto di quanto non si pensi.
Sono conscio del fatto che il pubblico mainstream, la cosiddetta “massa”, nella sua interezza non sia tanto attratta da un videogioco che di “gioco” ha poco, ma è proprio questo il punto su cui uno sviluppatore deve concentrarsi: è suo dovere miscelare sapientemente e in parti uguali sia la dimensione ludica che quella puramente visiva, senza dimenticarsi al tempo stesso della narrazione in sè. Ed è proprio ciò che The Last Guardian sulla carta promette di fare, rendendo l’osservazione del mondo esplorato o della creatura pennuta una meccanica di gioco vera e propria, legando indissolubilmente i due aspetti, per progredire all’interno della storia, superare gli enigmi, i nemici, gli ostacoli. E spero proprio che è quello su cui il pubblico si concentrerà.
Ammettendo che questa sarà la volta buona in cui uscirà.