L’amato e odiato (ma più odiato) Batman v Superman è uno dei cinecomic più discussi degli ultimi anni. Ok che la sceneggiatura avrà le sue lacune, va bene che i momenti action del film saranno distribuiti alla peggio, ma la vena ottenebrata di Snyder mischiata al suo inguaribile onanismo verso lo stile comics – vi confesso – mi ha sempre conquistato.
Difatti, chi scrive, ha apprezzato il film e non è rimasto di certo indifferente alle tante tematiche sociali che esso ha preteso di affrontare.
Ma quali sono? Cerchiamo di scendere nel dettaglio con la “Sociologia di Batman v Superman”:
Il primo tema è il dilemma teologico:
Superman è un Dio? E se sì, esso è accettabile come tale?
L’umanità sembra per tutto il film (ma anche nella realtà) auspicare ad un Dio padre, un Dio buono, che sopperisca alle paure e alle angosce della vita. Un genere umano vittima di quell’atavica infantilizzazione freudiana che lo rende bisognoso di protezione da parte di qualcuno (o qualcosa) più forte, più virtuoso, più potente, che spera – irragionevolmente – sia Superman. Ma dall’altra, nella mente dei più, serpeggia sinistra la paura che egli sia invece un Dio egoista, un Dio indifferente alla sorte dei singoli, in grado di ergersi al di sopra di tutto e tutti: la legge, le convenzioni, le persone. Insomma, cinque secoli di storia della religione in poche ore di film.
Il secondo tema – da sempre legato al personaggio di Superman – è di tremenda attualità: il razzismo.
Superman è il figlio di Krypton, l’alieno che giunge da un mondo lontano e scomparso, e in virtù di ciò, rappresenta l’incarnazione supereroistica della diversità. E’ “l’altro”, l’ignoto, e la sua figura è avvolta in un alone di mistero. Le sue abilità straordinarie non fanno altro che alimentare l’isteria e i dubbi dei terrestri nei suoi riguardi. Un razzismo figlio della paura che ha i crismi della cultura contemporanea di cui Batman stesso è vittima.
Questo razzismo 2.0 viene definito, in termini sociologici, “differenzialista”: esso è’ la posizione (anacronistica) di chi ritiene necessario difendere e/o preservare le differenze culturali dai processi di massificazione ed omogeneizzazione tipici delle società occidentali e per questo – per il bene della varietà culturale – pensa che le società non debbano in nessun modo essere multiculturali o interculturali. Il che significa che le differenze e le alterità vanno difese a discapito di qualsiasi politica integrativa.
In sede educativa e sociale il rischio di un velato razzismo differenzialista è reale e tende a concretizzarsi in una specie di apartheid dove le culture altre sono sì riconosciute ma “recintate” e conservate in metaforici contenitori sociali senza possibilità significative di interagire sia tra loro che con le culture autoctone in vista della costruzione di una società intesa come “casa comune” ove ad ognuno competono uguali diritti ed uguali doveri.
La paura dell’ignoto:
Non è finita qui. Il Batman del film di Snyder è una figura tormentata, coriacea, senza sicurezze, disilluso. che sembra afflitto dalle stesse paure dei protagonisti lovecraftiani. La sua paura verso l’ignoto, verso questi antropomorfi alieni che senza troppi complimenti hanno sfondato la porta della Terra, sembra invadere diuturnamente i suoi incubi. D’altronde la paura verso “l’insondabile” ha da sempre contraddistinto l’uomo. Per farne fronte, in passato, egli si è rifugiato in spiegazioni totalizzanti di stampo metafisico (la religione), mentre oggi, ricorre (sempre più disillusamente per la verità) alla tecnologia e ad una cieca fiducia nel progresso, della medicina quanto della robotica. Difatti nei momenti concitati del film vediamo Batman che per “uccidere Dio” (Superman) si serve dei mezzi tecnologici in suo possesso. Metaforicamente e cinematograficamente riviviamo la “morte di Dio” al cinema, ma con un esitazione che poi rappresenta nient’altro che la SPERANZA che l’uomo, ancora oggi, paradossalmente, ripone in quest’ultimo. Egli è come se capisse che la tecnologia, la scienza , non bastino per rassicurarlo verso quelli che sono i veri dilemmi esistenziali.
MARTHA!
E poi..rullo di tamburi..la scena più contestata dei cinecomic il “MARTHAAA” che salverà Superman dal suo inglorioso destino.
Per quanto se ne dica, la scena non è così campata per aria. Facciamo un passo indietro: il film ci dipinge un Bruce Wayne che a quartant’anni suonati è ancora dilaniato emotivamente e psicologicamente dalla morte dei suoi; quindi ci sta che al nome pronunciato della madre si paralizzi e si immedesimi nella situazione – terribile – in cui si trova Superman. Capisce che in qualche modo, salvando la madre, può salvare simbolicamente anche la sua. L’immedesimazione, d’altronde, è la chiave di volta (psicologica) alla base di qualunque cooperazione umana e la sua scelta è tutt’altro che scellerata e senza senso come paventato da chi l’ha stroncata.
Egli sa che nessuno merita di veder morire la propria madre. E lì, che decide di aiutarlo, ed è lì che capisce che un Superman non è malvagio se tiene così tanto alla vita di un terrestre nonché sua madre adottiva (perchè fino a quel momento Batman l’ha “conosciuto” solo tramite i tg e la distruzione operata per tutta Metropolis).
Insomma, Batman v Superman non verrà ricordato, di certo, come il cinecomic manifesto di un’epoca, ma sicuramente si è ritagliato uno spazio nei cuori di alcuni fan per la sensibilità con cui cerca – tra effetti speciali invadenti – di vellicare tematiche sociali importanti.