NON CHIAMATEMI SEGUITO
Secondo me è sempre sbagliato parlare di “seguiti spirituali”. Insomma: se uno sviluppatore possiede un determinato stile, è chiaramente logico che le sue produzioni siano pressapoco tutte simili tra loro. Insomma: sarebbe stupido chiamare ogni quadro di Picasso “seguito spirituale” di quello precedente per il semplice fatto che Picasso ricalca i suoi soliti (e noiosissimi) canoni artistici e pertanto disapprovo tale dicitura.
Playdead ha sviluppato due videogiochi. Fondata nel 2006 in danimarca, ha creato Limbo nel 2010 e Inside nel 2016. Per quanto riguarda Limbo, io non ne ho mai esaltato le sue qualità. E’ un gioco straordinario, ma il suo linguaggio “universale” è parso ai miei occhi quasi come banale, seppur ricercato. Trama sottile, level design curato in modo minimale e un effetto “controluce” avevano creato qualcosa di “Pop”, qualcosa che aveva animato gli animi della massa andando in qualche modo a offuscare lo scenario indipendente del tempo prendendosi tutti i meriti del caso.
Peccato che nel 2010 il mondo indie offriva già moltissimo.
Limbo è da me “mal giudicato” poichè, secondo il mio pensiero, è pari ad altre produzioni indie del tempo, senza effettivamente eccellere in qualcosa, o almeno nel mio punto di vista. Tuttavia è un gioco tutt’oggi ricordato, invecchiato ovviamente benissimo e citato da moltissime persone che oggi parlano e discutono di Inside.
Ebbene: chi parla di Inside come successore spirituale di Limbo non ha capito un bel niente: se Limbo è un ottimo titolo dai toni “pop” e universali, Inside va da tutt’altra parte, sfondando nella criptica intimità di ognuno di noi e proponendoci uno dei titoli più affascinanti e ben fatti di sempre.
STRAPAZZAMI DI INDIE
Inside ha una sua identità, fortissima identità. A quanto pare lo stile di Playdead è quello di omettere una qualsiasi informazione riguardo a quanto accade a schermo. Personifichiamo un ragazzo, senza nome per altro, intento a fuggire da strane persone mascherate dall’animo violento. La meta è sconosciuta, così come anche il motivo per cui scappiamo. Il semplice plot narrativo fa da sfondo a un oschema di gameplay composto da soli due tasti: oltre a quelli direzionali, ovviamente necessari in quanto Inside è una avventura in 2.5D, potremo saltare e afferare oggetti. Nulla più.
Tutto ruota attorno all’idea di fuga, con tutte le angoscie e i pericoli del caso. Il nostro protagonista non è infatti fortunato e dovrà superare ostacoli ben più grandi di lui, con sezioni di platforming millimetrico estremo e sezioni puzzle ben studiate e stimolanti. Tuttavia, essere colpiti dai proiettili nemici, sbranati da un cane, annegare, volare giù da un balcone, essere straziati da uno strano mostro acquatico umanoide non sarà cosa difficile, dato che il fallimento è repentino e soprattutto punitivo, ma mai frustrante. Playdead ha giustamente alzato l’asticella della difficoltà rispetto alla creazione passata, creando situazioni difficili da interpretare e puzzle “a tempo” dalla soluzione mai banale in linea con il pensiero creativo.
Tutto funziona alla perfezione, complice i controlli semplici e precisi e a un linguaggio grafico essenziale e dannatamente ricercato.
ESSENZIALMENTE DENTRO
In realtà Inside non è uno di quei giochi che ti racconta una storia con una morale fortissima tanto da cambiarti la vita e non è nemmeno quel titolo che distrugge la realtà proponendo contenuti maturi al limite del rivoluzionario. Ciò che colpisce in Inside è la sua cura maniacale della essenziale ricercatezza. Si è vero: il mio ossimoro può non avere significato, ma il gioco stesso è un ossimoro unico. L’estetica di Inside è così essenziale da essere maniacalmente curata, con una pallette di colori rilassante con toni azzeccati e uno stile ricreativo che si rifà all’arte italiana di metà novecento. In qualche modo lo stile di Playdead mi ha ricordato molto da vicino i quadri di “De Chirico”, noto artista italiano operante nel secolo scorso e celebre per la creazione di quadri surreali dall’atmosfera statica e quasi perversa. Inside non fa eccezione: tutto risulta surreale e così calmo da dare l’impressione che quanto stiamo facendo sia prettamente inutile, semplice azioni di un ragazzino tra tanti la cui vita o morte non importa a nessuno.
Il senso di solitudine e abbandono è tale da lasciare il giocatore in una forma di stasi perenne, lasciando il tempo di gustarsi gli incredibili scenari che fanno da sfondo alla vicenda, così vari nella loro realizzazione da creare un effetto “allungamento” delle vicende narrate poiché, come è giusto che sia, Inside dura poco.
Il condensato di arte e sensazioni va a creare una tempesta emotiva forte e tangibile che difficilmente uscirà dalla vostra testa. Per giorni e forse settimane vi ritorneranno in mente le immagini di Inside, con i suoi scenari perfetti, le morti assurde, la fisica abbozzata e una atmosfera incredibile.
Lo riscrivo per l’ennesima volta in una recensione di un gioco che mi è piaciuto (e sono pochi, davvero): è “difficile spiegare a parole scritte” un gioco come Inside, poiché la sua natura è intima, personale e allo stesso tempo universale. Un vero capolavoro.
POMPAMI QUESTO
La creazione di Playdead fa il sedere rosso a un sacco di produzioni tripla A in fatto di grafica. Tutto gira fluido senza alcun tipo di problema anche su macchine più vecchie. A sbalordire è la pulizia grafica, eccellente. Le texture piatte possiedono colori adeguate e sono in alta definizione, risultando sempre gradevoli all’occhio senza stonare in alcun modo con l’armonia della composizione globale. Il tutto è in realtà renderizzato in tre dimensioni e nonostante la visuale in 2D, si riescono a percepire tutti i modelli in-game nella loro incredibile tridimensionalità, supportata da animazioni fluide e credibili. Sta di fatto che in movimento Inside è una gioia per gli occhi e non faccio fatica a catalogarlo come il miglior titolo in 2.5D per quanto concerne il livello tecnico. L’effetto complessivo è quello di vedere davvero dentro una finestra rivolta verso un mondo alieno e dannatamente simile al nostro per analogia, sfiorando il fotorealismo evitato di un soffio grazie a una grande dose di stile.
A far venire la pelle d’oca è però l’audio. Il tecnico dell’audio di Playdead si è dato gran da fare poiché gli effetti sonori sono perfetti, limbidi e credibili. I miei altoparlanti sono stati davvero valorizzati dagli effetti sonori di Inside, i quali contribuiscono a tutti gli effetti a creare l’atmosfera mistica che permea ogni pixel del titolo. La colonna sonora è perfetta ed evocativa e muta su stili diversi in base a quanto accade a schermo.
Perfetta.
IN THE CONCLUSION
Lo so, vi aspettavate una analisi metafisica e retorica di Inside in questa recensione, ma così non è stato. Il fatto è che Inside non è un titolo da parafrasare, in quanto è una esperienza puramente intima e personale e non c’è bisogno di raccontarla al prossimo in quanto va arricchire davvero quello che noi già siamo. Inside è come un ottimo libro: lo leggi e lo chiudi in libreria senza più riaprirlo, perché sai che l’autore ha lasciato davvero il segno dentro di te.
Inside è quindi un capolavoro e lo sarà per l’eternità, grazie a un audio eccellente e a una ricercatezza dell’essenziale così ben riuscita da risultare universale. Puzzle mai banali e una difficoltà piuttosto elevata, ma mai frustrante riescono a centrare l’obiettivo di un gameplay adeguato alla produzione danese la quale è entrata con prepotenza nel mio piccolo album dei videogiochi migliori di sempre.
E non è una cosa facile.
Giocatelo subito.
In breve
Inside è un vero capolavoro. E’ essenziale, ma per scegliere bene bisogna essere davvero bravi. E come un bravo scultore, che toglie dal marmo per creare l’opera, Playdead è riuscita a scolpire l’incredibile, un titolo dal sapore intimo e personale, che difficilmente lascerà il vostro cuore una volta terminato.