Se vi state chiedendo perché su Projectnerd.it non vi è una recensione dedicata a Far Cry: Primal, è perché semplicemente non avevo voglia di giocare a un nuovo Far Cry. Già questa frase dovrebbe risuonarvi in testa come un campanello d’allarme: Far Cry: Primal non è altro che la terza incarnazione del sistema Free-Roaming in prima persona collaudato in primis da un potentissimo e onestissimo terzo capitolo e successivamente sottoposto a doveroso e forse frettoloso ripasso con un Far Cry 4. Quest’ultimo, parlo di Far Cry 4, non è mai riuscito a distaccarsi dal pregiudizio di un pubblico che subito lo ha additato come fotocopia di Far Cry 3 e vi erano delle ragioni dietro a questo: storia molto simile, cattivo con psicologia identica, gameplay fotocopia e una ambientazione che rievocava le isole di Vaas e company.
Far Cry: Primal aveva quindi il dovere di cambiare le carte in gioco e cercare di risollevare la reputazione della serie cercando di sperimentare con nuovi percorsi. O questo è quello che Ubisoft voleva e doveva fare. Ci è riuscita? Secondo me no, non del tutto. Diciamo che c’è riuscita per metà.
L’HO GIA’ VISTO NEL FUTURO
Nonostante Far Cry 4 sia riuscito a piazzare sul mercato oltre sette milioni di copie, superando di netto il suo diretto predecessore, Far Cry risulta essere un brand di nicchia e dedicato a videogiocatori che si aspettano qualcosa in più da uno sparatutto in prima persona. Quel “di più” si traduce in una trama articolata, personaggi ben definiti, un gameplay open world e un level design supportato da una ambientazione ben ricreata.
Come nei precedenti due capitoli della “nuova era” del Pianto Lontano (i primi due sono da considerarsi a sè stanti), Far Cry: Primal incorpora dentro di sè tutto quello che ha fatto grande la rinnovata saga di Ubisoft e quando dico tutto, è perché Far Cry: Primal è esattamente uguale agli altri Far Cry. Questa è una nota negativa? Si e no: il meccanismo di Ubisoft funziona benissimo e riesce a intrattenere anche il più coriaceo dei videogiocatori, ma dopo aver ripetuto le stesse sequenze per due anni di fila, ci si aspettava qualcosa che fosse davvero differente.
Effettivamente vi è un “piccolo” dettaglio che rende Far Cry: Primal diverso dai precedenti due. Per renderlo diverso Ubisoft ha pensato di intraprendere la stessa scelta già compiuta con la serie di Assassin’s Creed: se il gameplay funziona bene e non si conosce il modo per cambiarlo, allora si cambia ambientazione storica e si adatta il gameplay a quelle che erano le tecnologie del tempo. Per Altair e combriccola questa idea ha funzionato alla grande.
In questo caso, lo sapete già tutti, si parla di un balzo indietro nel tempo di ben 12’000 anni. Far Cry: Primal è infatti ambientato nell’età della pietra, nel 10’000 avanti cristo. Questo cambia qualcosa? Sulla carta dovrebbe cambiare tutto e invece, sorprendentemente, sembra che non sia cambiato niente.
RIGIOCO ALL’INFINITO
Come diretto discendente di Far Cry sarebbe stato folle pretendere un gioco che potesse essere qualcosa di estremamente diverso rispetto ai precedenti. I sequel esistono proprio per proporre la stessa formula già vista, ma in ambiti diversi. L’idea per cui il secondo e il terzo capitolo debbano essere diversi tra loro e soprattutto rispetto al primo è una tendenza tutta moderna (Es. la saga di Mass Effect). A tal proposito posso assolutamente affermare che Far Cry: Primal funziona bene, così come funzionavano bene i suoi predecessori. Tuttavia, se potevo chiudere un occhio con Fc 4, nel caso di Primal l’idea di “già visto” rende il tutto meno appetibile e affascinante nonostante l’ ambientazione incredibile. L’opera di Ubisoft è infatti il primo videogioco ad essere davvero ambientato nell’età della pietra, con tanto di ricostruzione di vegetazione, animali dell’epoca (come i giganteschi Mammut o le tigri dai denti a sciabola), fino ad arrivare a una ricostruzione sociale coerente e verosimile. Non manca inoltre un dialetto specifico presumibilmente ispirato alle tribù nomadi africane che fa davvero il suo dovere.
Tutti questi ingredienti sono legati tra loro da un gameplay ormai giocato e stragiocato che non può che lasciar indifferenti. L’indifferenza, almeno per me, si fa sentire anche nelle scene di violenza e di ricerca risorse: fin troppo simili al passato che in nessun modo riescono a intrigare il giocatore. Tuttavia, a rendere le cose più interessanti, ci pensa un sistema nemmeno troppo primitivo (che bel gioco di parole), che consente al giocatore di ingrandire e soprattutto supportare il proprio villaggio, il quale diventerà la meta dei Wenja, tribù locale che si è vista espropriare il proprio terreno natio da un clan nemico.
Certamente la gestione del villaggio risulta essere un contentino apprezzabile seppur coerente. Tra le altre cose adoro quei giochi in cui posso osservare in modo tangibile la conseguenza delle mie scelte nel mondo di gioco e Primal è uno di questi. E’ interessante il fatto che gli abitanti vagano alla ricerca di risorse utili alla sopravvivenza e che talvolta bisogna salvarli da grossi animali feroci o da vere e proprie spedizioni punitive di tribù locali, ma tutto questo risulta essere una sorta di distrazione. Una distrazione che certo fa il suo lavoro, ma non basta per rendere Primal un gioco appassionante e godibile.
Insomma: se avete già giocato Far Cry 3 e Far Cry 4, con Primal vi annoierete. Anche perché, detto sinceramente, non vi sembrerà affatto di essere precipitati nell’età della pietra.
LA PELURIA CHE AVANZA
Quello che contraddistingue Primal dagli altri capitoli è sicuramente la gestione dei nostri fidati pelosi animali. Nel corso dell’avventura scopriamo che il nostro personaggio è capace di ottenere la fiducia di alcune delle belve presenti nel gioco che così iniziano ad aiutare il giocatore nel suo percorso di sopravvivenza. La gestione degli animali è in realtà molto semplice, così come riuscire a convincerli a passare al “lato umano”. Si può ordinare ai pelosi amici di abbattere un nemico silenziosamente, andare in esplorazione o, semplicemente, seguirci ignorando qualsiasi forma di vita utile a riempire il loro stomaco.
Tuttavia sono proprio le belve a sottolineare una grande mancanza in Far Cry: Primal. Il livello tecnico è infatti anacronistico, con un motore grafico, lo stesso utilizzato su Xbox 360 e Ps3 per Far Cry 3, che dimostra tutti suoi anni in ogni sua texture. L’utilizzare il medesimo motore grafico ha sicuramente giovato alla velocità di sviluppo del titolo, ma nel 2016 e ora nel 2017 posso affermare come il tutto stia già invecchiando e anche male. Nel caso degli animali presenti nel gioco, si possono osservare modelli poligonali si dettagliati, ma in un modo semplicemente sufficiente. Non vi è una qual si voglia personalizzazione nel codice di gioco e ammetto che mi sarebbe piaciuto vedere il pelo dinamico degli amici a quattro zampe (feauture già vista in titoli del calibro di The Witcher 3), o magari qualche animazione più fluida.
In generale sia mondo di gioco così come gli ominidi che lo popolano risulta comunque ben fatto, ma questo Primal non riesce in alcun modo a soddisfare l’occhio. Anche perché, a parer mio, lo stile grafico non è dei più ispirati (in Ubisoft si è visto molto di meglio), sebbene talvolta si vengono a creare scorci naturalistici comunque interessanti. Le texture risultano comunque adeguate al motore di gioco e mai decontestualizzate: avrebbe avuto poco significato aggiungere texture ad altissima definizione su modelli dalla scarsa mole poligonale. Da segnalare l’assenza di un motore fisico all’avanguardia: avrebbe sicuramente fatto la sua bellissima figura nelle grandi distese d’erba presenti nel gioco e dato che Far Cry 2 possedeva un motore fisico coi controcavoli, non capisco perché in Primal il tutto si sia appiattito. Infine effetti post processing e ombre risultano risicati e appena sufficienti per garantire una esperienza almeno godibile.
Si: Far Cry Primal non è un mostro di tecnologia.
IN THE CONCLUSION
Forse sono stato fin troppo duro con questo gioco, ma a me piace essere sincero. Da amante della serie e soprattutto di Far Cry 3, affermo come Primal mi abbia davvero annoiato. Mi aspettavo una esperienza molto diversa rispetto al terzo e al quarto capitolo, anche perché il periodo storico sembrava essere l’incentivo più grande per un severo cambio di rotta. E invece ci si ritrova davanti a un titolo praticamente identico ai suoi due predecessori con l’unica differenza di utilizzare archi e lance al posto di fucili e lanciarazzi.
Tuttavia, se non avete mai giocato a un Far Cry prima d’ora questo Primal non potrà che piacervi, ma in definitiva consiglio di dare una chance anche a coloro che hanno apprezzato gli altri capitoli della serie: non si sa mai che rimanete folgorati da Mammut e compagnia bella (mica tanto poi).
Perché alla fine, è vero: nonostante Primal sia molto simile a quanto già visto in Far Cry 3, tutto funziona e anche discretamente bene.
Alla fine in Ubisoft sono pragmatici: squadra che vince, non si cambia. Anche se in questo caso, qualche sostituzione, l’avrei fatta.
In Breve
Far Cry: Primal funziona, è ben giocabile e l’ambientazione preistorica è sicuramente un incentivo per dargli una chance. Tuttavia secondo me è fin troppo legato ai suoi due diretti predecessori, sia per quanto riguarda il gameplay, che per la trama e soprattutto per un livello tecnico anacronistico.