Premessa: Le forti opinioni politiche descritte in questo editoriale (così come gli aggettivi utilizzati per descriverle), rappresentano esclusivamente le idee dell’autore del testo.
Il titolo in realtà sembra suggerire che sto per parlare più di geopolitica o di politica internazionale che videogames e in realtà forse sarà proprio così. Sono infatti pochi i giornalisti videoludici (o blogger che siano), che identificano i videogames come dei veri e propri prodotti culturali di un popolo di riferimento. Tanti sottovalutano la provenienza del team di sviluppo alla base di un videogioco e solo pochi comprendono quanto la cultura di uno studios vada letteralmente a influenzare sia la filosofia di sviluppo che, soprattutto, quello che viene espresso nel gioco creato.
Concetti di questo tipo li ho già espressi in un vecchio mio articolo di nome “Videogioco, quindi Esprimo” (per altro molto interessante), ove ho trattato di come la cultura russa, in quel caso, producesse giochi che infondessero nel giocatore lo stesso timore reverenziale verso la natura che gli stessi russi provano ogni giorno (il motivo è descritto nell’articolo). Tuttavia non si deve soltanto considerare la patria di provenienza di uno studios per poter comprendere appieno quello che viene espresso in un videogioco. Proprio come un’opera d’arte di qualsiasi altra natura, per poter comprendere un’opera videoludica nel suo pieno splendore vi è bisogno di contestualizzare la produzione presa in riferimento con il periodo storico in cui è stata sviluppata nonchè la situazione politica della nazione in cui ha avuto sede la Software House responsabile.
Giusto per farvi un esempio, è molto probabile che la serie Rainbow Six non sarebbe mai stata concepita da Ubisoft se il mondo, al limitare del vecchio millennio, non fosse già caduto nella morsa del terrorismo globale così come non avremmo mai visto le grandi storie ambientate negli scenari devastati dell’Iraq o del Medio Oriente se quella testa di gatto di Bush non avesse dichiarato guerra a quei paesi.
Tuttavia il videogioco non è soltanto espressione culturale “libera“. Esistono infatti governi, o nazioni, che hanno da tempo compreso la potenza mediatica del videoludo sfruttandola quindi a proprio vantaggio per scopi propagandistici. E si: sto parlando degli Stati Uniti di (merd)America.
Quando spesso tratto di videogiochi in modo così serio e politico non sono poche le critiche che cercano di ferirmi. In tanti e anzi, fin troppi sottovalutano la potenza mediatica e soprattutto rappresentativa dei videogames. Il fatto è che i videogiocatori stessi non prendono sul serio i videogiochi che di serio, invece, hanno davvero tanto. Si pensi a titoli come il prima citato Rainbow Six o al recente Spec Ops: The Line o perché no: al meraviglioso Bioshock Infinite o all’intrepido System Shock. I videogiochi, da sempre, hanno espresso idee più o meno forti, politiche o sociali che siano.
Nelle scorse ore Activision ha presentato quello che sarà il prossimo Call of Duty, chiamato questa volta semplicemente World War 2. Il titolo ovviamente (e sottolineo, ovviamente), si ispira alla pellicola cinematografica di Steven Spielberg, Salvate il Soldato Ryan, film propagandistico di fine millennio per definizione.
Secondo il boss di Sledgehammer Games, lo studios responsabile dello sviluppo di World War 2 (che a detta loro ci stanno lavorando da ben tre anni), la pubblicazione del nuovo Call of Duty con ambientazione bellica hitleriana non è stato condizionata dalla presenza sul mercato di Battlefield 1. Ovviamente è una stronzata colossale: Activision avrebbe continuato a produrre schifezze fantascientifiche di basso livello fintanto il mercato non si sarebbe rivelato pronto a tornare ai “vecchi albori americani” fatti di fucili ottocenteschi e divise militari verdi e sembra che il momento sia arrivato.
Tra Battlefield 1 e CoD: WWII vi è però una sottile quanto profonda differenza: la Prima Guerra Mondiale è percepita in modo completamente differente dal Secondo Conflitto Globale. Nella Grande Guerra non ci sono stati vincitori e soprattutto non vi era l’idea di un mondo dove bene e male si davano guerra per la conquista globale. La Prima Guerra Mondiale è stato un conflitto di posizione con battaglie tipiche dei fronti ottocenteschi: una guerra di territorio per conquistare territori e non per promuovere una idea. Proprio per questo motivo Battlefield 1 è riuscito a ottenere un grande successo di critica e soprattutto di pubblico: è un gioco forte, commovente e che soprattutto demonizza la guerra per quello che effettivamente è: un conflitto fra nazioni per puri interessi personali ( o nazionali), dove nessuno, in realtà, è vincitore.
La Seconda Guerra Mondiale è invece molto diversa. Insomma: i Nazisti a tutt’oggi (e giustamente), vengono osservati come il male da estirpare a tutti i costi, male estirpato, purtroppo, dagli americani che dal 1945 a oggi non smettono di ricordarci di essere stati loro i salvatori del mondo (si, come no). Da qui vi è stato un susseguirsi di prodotti culturali di diverso tipo pubblicati nei “momenti giusti“. Tuttavia non si tratta di attendere il momento giusto per assecondare al meglio le volontà del pubblico giocante, nel caso dei videogames, bensì di attendere il miglior scenario geopolitico per proporre determinate idee in chiave videoludica.
E così CoD WWII assume un significato propagandastico davvero forte e con il ruolo di ricordare al mondo occidentale che tutti noi Europei abbiamo ancora un conto in sospeso con il “Nuovo Continente“. Osservando lo scenario geopolitico attuale infatti, è facile intuire una Europa che forse si sta stancando di assecondare, obbligatoriamente e senza diritto di recesso, tutti i capricci militari statunitensi. Che sia Trump vs Puntin o Trump Vs Kim Jong-un vs Il primo ministro cinese di cui non si conosce il nome, l’Europa o meglio il popolo europeo si sta accorgendo che forse, così tanto salvatori, gli americano non sono.
E quale miglior modo per persuadere la diffusione di queste idee “indipendentiste” se non quello di propagandare gli ideali della Santa Madre Patria tramite film e videogiochi? Call of Duty: World War II arriva anche per questo. Ed ecco che World War 2 tratterà dello Sbarco in Normandia (battaglia americana per autonomasia), della corsa alla vittoria fino a Berlino e della liberazione, chilometro per chilometro, di intere popolazioni dalla schiavutù idealistica nazista. E ovviamente non si farà riferimento a tutti quei popoli e a tutte quelle persone che contribuirono in modo deciso e fondamentale alla risolutezza del Secondo Conflitto Mondiale, non si parlerà dei nazisti “traditori di Hitler” che cercarono di fermare il Nazismo in Cruccolandia, non si parlerà dei partigiani italiani o di tutti quei civili feriti nell’orgoglio che, proiettile dopo proiettile, fermarono anche loro l’avanzata tedesca.
Non se ne parlerà perché il mondo, in questo preciso istante e in questo strano contesto storico, ha bisogno di ricordare che esiste un solo “Salvatore” e che tale deve essere servito in ogni ambito come una divinità, senza perderne la fiducia.
Tuttavia sia Activision, che Sledgehammer che il governo americano dovranno fare i conti con le idee del popolo europeo e in generale delle popolazioni vittima dell’imperialismo americano. Le idee infatti sono dure a morire e penso che l’effetto propagandistico di del nuovo Call of Duty sarà piuttosto limitato, almeno quì in Europa. Il fatto è che noi Europei (o italiani che sia), non ci crediamo più alle storielle americane. Non ci commuoviamo più davanti alle scene di Salvate il Soldato Ryan o di Call of Duty 2, non ci esaltiamo più quando vediamo scene di carri tedeschi devastati dai lanciarazzi americani e soprattutto non ci crediamo più alla favola della liberazione statunitense.
Quali saranno le conseguenze? E’ in realtà difficile prevederle, ma secondo me accadrà quanto qui di seguito descritto. I videogiocatori, soprattutto europei, si annoieranno a morte nel giocare la campagna in singolo del gioco (fare e rifare le missioni già compiute in tonnellate altri giochi non è motivante), ne parleranno per qualche settimana cercando di giustificare l’esborso di 70 euro per l’acquisto del nuovo gioco e dopo qualche tempo, probabilmente delusi, perderanno fiducia sia nel nuovo gioco di Sledgehammer (giudicandolo probabilmente come poco consono), che nella serie di Call of Duty.
Insomma: per quello che mi riguarda è molto probabile che CoD WWII possa rivelarsi davvero il giro di boa della serie o addirittura il canto del cigno della medesima. Probabilmente sarà un gioco accettabile dal punto di vista qualitativo, anche perché gli sviluppatori, insomma, sembrano essersi impegnati. Ma siamo in un periodo storico complesso, in un mercato videoludico che vede la qualità e l’espressione culturale “vera” al centro dell’attenzione e so che il pubblico, questa volta, non avrà pietà.
Scommettiamo?
Di seguito il trailer di CoD WWII, giusto per verificare, sin dal principio, le mie parole: