• La sceneggiatura: ritorno al futuro
Nel 1998, Mark Waid e Brian Augustyn riscrissero le origini della Justice League America all’indomani del cataclismatico evento Crisi sulle terre infinite, rendendosi autori di un’operazione che, considerata la strategia di fondo, manifesta grande acume. Al tempo in cui scrissero, da almeno una quindicina d’anni, sui comics americani fu inaugurato un nuovo corso, all’insegna dell’indagine del foro interno dei superesseri: se considerati con un taglio più realista, essi erano individui pieni di eccezionali capacità, ma senza una reale collocazione in un mondo di persone normali; a partire da questa loro destabilizzazione, si poteva creare qualcosa di buono. I due optarono per una soluzione di compromesso, che unisse i due contingenti di lettori pre e post-crisis; traslarono i metodi narrativi, lo stile dialogico e le atmosfere dell’epoca passata in un fumetto moderno, filtrandoli attraverso categorie contemporanee. Recuperarono l’archetipo della JLA del 1960 e lo raffinarono secondo i canoni dell’ormai prossimo nuovo millennio, illustrando – in maniera quasi didascalica – un vero e proprio modello che ogni reboot dovrebbe seguire per poter dirsi tale.
Una lotta per la successione al potere è il motivo per la razza aliena degli appellaxiani di utilizzare la Terra come palcoscenico di una dimostrazione di forza; la presenza in loco di nuovi emissari del bene sconvolge tuttavia i piani del sovrano Kalar, che converte il suo obiettivo nell’invasione del pianeta per abbattere questa potenziale minaccia alla loro sopravvivenza. In questo scenario, l’esaltazione dell’eroismo collettivo di stampo Golden/Silver Age non aggredisce lo spazio naturale di ogni membro singolarmente considerato, il cui sviluppo procede in armonia con la definizione dei caratteri del supergruppo. Emerge con vigore il dramma di Aquaman, quasi trascinato a forza nella dialettica supereroistica, incapace di gestire in superficie le sue abilità di atlantideo al punto da rendersi agli occhi suoi e degli altri un’aberrazione in un mondo diviso in maniera così netta tra uomini indifesi e supereroi esemplari, entrambi panni che, però, Arthur Curry non riesce a calzare. Il tutto condito da un’ironia agrodolce vecchio stampo che smorza i toni seriosi con cui la Modern Age dei comics talvolta rischia di prendersi troppo sul serio.
Numerosi sono poi i riferimenti meta-fumettistici, a suggerire quasi un dialogo che Waid e Augustyn vorrebbero aprire a proposito del supererosimo e dei modi in cui si è atteggiato nel corso di quel 20°secolo che stava per scadere e che tanto lasciava in eredità ai comics. Così, gli sceneggiatori anzitutto vagliano l’opportunità di un’alleanza, facendo partire dai supereroi stessi la domanda se una lega veramente realizzi esigenze concrete o semplicemente soddisfi l’appetito dell’immaginazione popolare (virtuale e, segnatamente, dei lettori reali), smaniosa di vedere i propri beniamini finalmente assieme. Ancora, sebbene la consuetudine voglia che sia il soggetto più forte del gruppo a fregiarsi del ruolo di leader, Lanterna Verde (Hal Jordan) è costretto a scendere a patti con l’attitudine da capitano di Flash (Wally West). Similmente, anche la sapiente sostituzione – rispetto alla JLA del 1960 – di Wonder Woman con Black Canary tradisce un senso più profondo: è infatti proprio il dissidio interiore della ragazza, che eredita a malincuore l’identità civile da fioraia di sua madre, ex Canarino Nero, a trasformarla da infaticabile adulatrice dei fasti della vecchia Justice Society of America a legittima depositaria dell’antico eroismo e capofila di una nuova stagione di supereroi. Con questa metafora, Waid e Augustyn sintetizzano le quattro ere del fumetto americano, in quello che sembra l’auspicio in un’evoluzione futura ponderata, nel solco dei valori della tradizione e dell’innovazione.
• I disegni: arriva la cavalleria
Con premesse di questo tipo, Barry Kitson non poteva che optare per un tratto piacevolmente indefinito, anacronistico nelle forme per un fumetto che si affacciava al 21°secolo, ma che infine genera grande simpatia, se si procede nella lettura tenendo sempre a mente i grandiosi intenti degli sceneggiatori. Mi accorgo tuttavia che lo stile un po’ démodé e l’esagerata bidimensionalità alla lunga possano stancare, facendomi ritenere non troppo riuscita sul versante grafico questa grande opera di coordinamento del materiale supereroistico di quegli ultimi 60 anni.
• Commenti finali
In definitiva, JLA: Anno Uno possiede enormi potenzialità educative, è un’utile stella polare per i neofiti che vogliano meglio definire le linee guida che hanno diretto lo sviluppo delle diverse ere del fumetto americano e insieme una summa esaustiva del supereroismo targato 20°secolo per tutti gli estimatori del genere.
PRO
1) Definisce al meglio il reale significato di “reboot”
2) Personaggi ottimamente caratterizzati e rivalutati
3) Educativo: è un affresco coeso dei cardini del supereroismo moderno nel tempo
CONTRO
1) Graficamente non esaltante
2) Certe sequenze dialogiche dai toni Golden/Silver Age sono pesanti
3) Nemici a tratti grotteschi
Il giudizio di Two-Face
Una Justice League che rompe gli schemi quella di Waid e Augustyn, protagonista di un’analisi scrupolosa ed onesta in grado di dare inaspettata consistenza a personaggi che prima difficilmente avremmo immaginato tra le fila di una Lega ben assortita. Sui disegni Kitson avrebbe forse potuto osare di più, ma – per motivi che probabilmente non ha neanche troppa importanza indagare – la Storia ci ha consegnato JLA: Anno Uno così, e così fieramente ce lo teniamo.