Trama
La ruota delle meraviglie ci porta sulla spiaggia di Cooney Island durante gli anni Cinquanta, dove Mickey Rubin (Justine Timberlake) è un giovane bagnino con il sogno di diventare drammaturgo. In un piovoso giorno d’estate conosce Ginny (Kate Winslet), una donna di quarant’anni con un passato da attrice e un presente da moglie infelice. Tra i due nasce una relazione.
L’idillio che si è creato è destinato a durare poco. A interromperlo ci pensa l’arrivo di Carolina (Juno Temple), la figlia di Humpty (Jim Belushi) – il marito di Ginny. La giovane è in fuga dal suo ex marito mafioso e la sua storia affascinerà il romantico Mickey, che non saprà resistere all’istinto di intervenire in suo aiuto.
Letteratura russa e drammaturgia classica
Woody Allen nella sua produzione degli anni Duemila si è più volte rifatto, più o meno apertamente, alla tradizione letteraria russa. La ruota delle meraviglie non fa eccezione. Al suo interno infatti, in mezzo a molti altri, è presente un richiamo a Anton Čechov, grande drammaturgo e letterato della Russia di fine Ottocento.
Il principale ispiratore è però Dostoevskij, il cui romanzo Delitto e castigo è un punto di riferimento imprescindibile della più recente produzione Alleniana. L’autore di New York infatti, come già a fatto in Match Point e Irrational Man, si sofferma nella descrizione di personaggi che si sono macchiati di un delitto e sull’analisi della condizione umana di colpevole.
Ne La ruota delle meraviglie però, diversamente da quanto fatto negli altri film citati, Allen non si concentra sulla psicologia del colpevole, ma è più interessato a sviscerare un quesito, esplicitato in più di un occasione dagli stessi personaggi del lungometraggio: siamo noi gli artefici della nostra disgrazia o è il Fato che ci condanna?
L’altro riferimento centrale della produzione del newyorkese è senz’altro la drammaturgia classica, che più di una volta ha esplorato il rapporto tra libero arbitrio e destino. Il regista, senza timori reverenziali, richiama le tragedie dell’antica Grecia per dare risposta al quesito che si è posto. Non si tratta certo di una risposta rassicurante: per quanto infatti Allen riconosca il ruolo del caso, attribuisce gran parte della colpa agli uomini, alle loro debolezze e alla loro incapacità di rialzarsi dalla miseria in cui si sono cacciati con le loro stesse mani.
Il fascino della decadenza
Per raccontarci questa storia di miseria morale Allen sceglie come sfondo la spiaggia e il parco giochi di Cooney Island. Non si tratta di una scelta casuale: il principio di decadenza che segna l’isola parco giochi negli anni Cinquanta è perfetta come sfondo per le vicende che vengono narrate, in cui la decadenza ha un ruolo significativo. L’autore di Io e Annie, grazie all’ampio uso di piani sequenza e di lunghi carrelli, ci permette di osservare a fondo questo ambiente, dandoci la possibilità di intravederne le crepe, il marcio che comincia ad affiorare dalla vernice dai colori vivaci.
Impreziosisce l’operazione, poi, la fotografia del sempre bravo Vittorio Storaro. L’italiano realizza una fotografia basata su colori dai toni forti e una illuminazione innaturale, che a tratti verte su di un unico colore. Il risultato è brillante e attribuisce alla pellicola, altrimenti decisamente realistica, un’aurea surrealista, capace di evidenziare la sua natura metaforica e simbolica.
Riassunto
Allen si rifà alla tradizione letteraria russa e alla drammaturgia classica per realizzare una tragedia dolorosa, tramite la quale l’autore si pone e ci pone alcune importanti questioni morali.