• La sceneggiatura: come si dice, tutto fumo…
Le cose non vanno sempre come vorremmo. Sembra retorica, ma, sin dai primi numeri, il terzo capitolo della saga milleriana de Il Cavaliere Oscuro faceva dubitare che avrebbe disatteso questo infausto destino. Siamo franchi: si può essere clementi e ortodossi quanto si vuole, ma sfido a dire che Razza Suprema è realmente quello che ci stavamo aspettando. E a fare un recap delle premesse non si direbbe: nel tentativo di restituire la libertà ad un gruppo di kryptoniani intrappolati nella città miniaturizzata di Kandor, Ray Palmer sprigiona un male ancor maggiore, Quar, leader di un manipolo di uomini che ha ucciso i restanti abitanti ed ora, riportato alle sue dimensioni normali, intende conquistare la terra e diventarne il nuovo dio. Un plot che prelude a sviluppi densi di epicità, dunque, ma che – in concreto – si traduce in un nulla di fatto. Miller e Azzarello – fa male al cuore dirlo – non sono riusciti a spingersi più in là del pedestre compitino, senza imprimere del potenziale in quello che stavano creando. Penso che il danno peggiore che possa fare un racconto sia quello di riportare il lettore nel punto esatto in cui stava al momento di partenza: sfogliato l’ultimo numero della miniserie, siamo portati a chiederci quali reali passi avanti siano stati fatti e che arricchimento realmente abbiamo tratto da questo terzo capitolo; e la risposta non ci sovviene. Razza Suprema ha dei momenti che denotano palesemente di star leggendo un’opera del maestro Frank Miller: innumerevoli sono le sequenze che ci lasciano a bocca aperta (su tutte, la pioggia di kryptonite è la mia preferita, mossa astutissima); tuttavia, più che un sincero stupore, lo definirei uno sporadico risveglio dal torpore, una sequenza di campanelli d’allarme ingegnosamente piazzati per non far scivolare via l’attenzione. Tuttavia, per rispetto verso un mostro sacro quale è Miller, non possiamo far passare sotto silenzio il profondo scoramento che proviamo nel sapere di essere stati trattati come dei sonnambuli da ridestare con degli schiocchi di dita.
Ultimo appunto, un’ammonizione generica, una nota di biasimo che non so davvero a chi indirizzare: contenutisticamente parlando, i primi spillati sono il nulla, le pagine finali arrivano con una velocità allarmante e, pur considerando i libretti con storie integrative graziosamente concessici da Lion (per 3.95 € lo definirei il minimo), la lettura non supera i 10 minuti cadauno. Insomma, ad un contenuto quasi impalpabile si accompagna, peraltro, un numero drammaticamente scarso di pagine, tale da non giustificare una diluizione della miniserie in addirittura 9 volumetti.
• I disegni: la persona sbagliata, nel momento giusto (per lei, più che per noi)
Parliamoci chiaro: Andy Kubert non se l’è cavata male con le matite. Anche qui, però, non si è trattato di uno sforzo titanico, degno del team-up che ha collaborato alla realizzazione della serie. Siamo di fronte a disegni certamente apprezzabili, ma svuotati di tutto il vigore che, nei precedenti capitoli, ha animato e vitalizzato i personaggi sulla scena. Tra tutti i protagonisti, forse è Superman quello che ha risentito di più di questa superficialità, facendo un passo indietro ai vecchi stilemi classici che lo volevano un semplice bellimbusto, con l’aggravante che qui manca del tutto di carisma. Molte tavole sono pregne dell’influenza milleriana, con chiari rimandi ad opere come 300, ma certi passaggi danno l’idea che si sia calcata troppo la mano e che certi exploit d’inventiva abbiano poi finito per subire una trasposizione grafica che disattende anche ogni più contenuta aspettativa; davvero, mi chiedo come nessuno abbia obiettato alla vista della tuta robotica di Superman, perché io ho provato un discreto senso di inadeguatezza ed imbarazzo.
• Commenti finali
Detesto giocare la parte del nostalgico, ho sempre la mente proiettata in avanti. Tuttavia, sono anche pignolo e mi piace fabbricarmi speranze giustificate dalle mie positive esperienze passate. Razza Suprema manca di un collante, è discontinuo e incostante, privo di una reale visione d’insieme. La lettura è resa godibile dal solo fatto che la penna è pur sempre nelle mani di Frank Miller (e Brian Azzarello), quindi è inevitabile – e sarebbe stato grave se fosse mancato pure quello – qualche momento di grande impatto visivo. Su, però: è de Il Cavaliere Oscuro che stiamo parlando! Visto che il team è in lavorazione su di un quarto ed ultimo capitolo, dal mio umilissimo cantuccio, mi sentirei di consigliar loro di ponderare molto attentamente ogni mossa.
PRO
1) Premesse narrative interessanti, anche se solo parzialmente soddisfatte
2) Sequenze tipicamente milleriane ad alta spettacolarità
3) Sulle cover è stato fatto un lavoro indiscutibilmente egregio
CONTRO
1) A livello di sceneggiatura, c’è tanto, tanto fumo. E una magra fettina d’arrosto.
2) Kubert l’ha scampata perché il prodotto è in generale superficiale, ma su un buon titolo talune matite grossolane non sarebbero passate inosservate
3) Se uno spillato dura 10 minuti o è avvincente o è povero: tanto valeva puntare su un artbook, non di certo sul successore de Il Cavaliere Oscuro
Il giudizio di Two-Face
Sufficienza abbondante per il terzo capitolo della trilogia milleriana de Il Cavaliere Oscuro, che tuttavia pesa come un macigno. La sceneggiatura manca dello stile autoriale che aveva contraddistinto i primi due capitoli, scavalcato da sequenze epiche che ci faranno tornare il sorriso, ma che dimenticheremo poco dopo aver chiuso il fumetto. Per esigenze di completezza, i lettori navigati della saga lo acquistino anche per passarlo ad un vaglio critico, ma non mi sento di consigliare questa lettura come punto di partenza per chi è a digiuno della straordinaria opera immaginata da Frank Miller a metà anni ’80.