Berlino, 2052. Leo Beiler (Alexander Skargård) è un barista del locale notturno Foreign Dreams, rimasto completamente muto in seguito ad un incidente subìto nella sua infanzia. La sua unica ragione di vita è Naadirah, la sua donna (Seyneb Saleh). Quando Naadirah scompare nel nulla, Leo parte per un viaggio che lo porta nei bassifondi della città, avendo come unico indizio ricorrente due chirurghi americani di nome Cactus Bill (Paul Rudd) e Duck Teddington (Justin Theroux) dei quali non può sapere se fidarsi o meno…
Duncan Jones, figlio del compianto David Bowie, ha stupito in positivo con la sua pellicola d’esordio Moon, poi come come un carrello delle montagne russe è sceso in picchiata dirigendo il criticatissimo Warcraft – L’inizio.
Per il suo terzo film, Mute,ritorna al mondo del suo esordio ( letteralmente, siamo nello stesso mondo narrativo di Moon) quello del cinema sci-fi, con una pellicola leggermente noir prodotta sotto l’effige Netflix Original.
Jones sceglie di giocarsi la carta dell’ambientazione cyber punk , eccoci quindi alle prese con una Berlino multietnica, piena e cupa, dove brillano le luci al neon e abbiamo addirittura le auto volanti. Un bellissimo tributo a Blade Runner di Ridley Scott e al suo recente sequel che si rivelerà probabilmente la componente più bella dell’intera pellicola.
La sceneggiatura di Mute finisce quasi subito per dare l’impressione di essere un po’troppo scricchiolante, sintomo di una visione poco lucida del dove Jones ci voglia portare lungo il lento percorso. Per fare un esempio,vengono gettati qua e la abboccamenti per un mondo più grande del film, accenni a una sorta di guerra fredda che ai fini della trama non si riveleranno per nulla importanti.
Il trio di personaggi che si muovono in questo mondo ha un altissimo potenziale sulla carta, ma sviluppato forse troppo frettolosamente perdendo molti punti. Fortunatamente però il protagonista Alexander Skarsgård e il duo composto da Paul Rudd e Justin Theroux riescono con molta fatica e altrettanta abilità a dare il massimo portandosi sulle spalle quello che possono della confusa pellicola.
Non è la prima volta che le produzioni Netflix si rivelano delle opere compiute a metà, Mute di Duncan Jones non è da meno, il lato esistenzialista e poetico del cinema di fantascienza che il regista voleva tracciare, seppure forse troppo stratificato e poco fruibile funziona discretamente, ma quando per Duncan le direzioni e gli spunti iniziano a diventare troppi finisce per perdersi nel suo stesso bosco.