La Terra dell’Abbastanza, film rivelazione al Festival di Berlino, arriverà nelle sale italiane il 7 Giugno 2018.
Il film, scritto e diretto dagli esordienti Damiano e Fabio D’Innocenzo è distribuito da Adler Entertainment e prodotto da Pepito Produzioni con Rai Cinema.
Mirko (Matteo Olivetti) e Manolo (Andrea Carpenzano) vivono nella periferia di Roma. Una notte i due uccidono involontariamente un uomo investendolo con l’auto. Con l’aiuto del padre di Manolo, e accertatisi che non vi fosse nessun testimone oculare, i due ragazzi scelgono di non raccontare nulla a nessuno, custodendo il terribile segreto. Afflitti dai sensi di colpa e da un’angoscia senza tregua, ai due ragazzi si apre una piccola speranza: scoprono che il corpo dell’uomo ucciso apparteneva a un pentito di un potente clan criminale di zona e ne approfittano per trasformare la colpa in merito, guadagnandosi quindi un ruolo all’interno dell’organizzazione. Una via per l’espiazione e, forse, per avere una vita migliore.
Esordio dei fratelli Damiano e Fabio D’Innocenzo sul grande schermo, La terra dell’abbastanza (Boys Cry nella versione internazionale) senza ombra di dubbio guarda, pur essendo concepito e presentato come prodotto per le sale, alla serialità tricolore dei tempi recenti, cui pure il cinema stesso del nostro paese si ispira sempre più dichiaratamente. Impossibile non pensare a Gomorra (o, soprattutto per colori e ambientazioni, a Romanzo Criminale) mentre si seguono le vicende di Mirko e Manolo, che ai protagonisti dell’opera per la tv somigliano per quella personalità tutta tipica del “piccolo” che sogna di diventare “grande”, da subito privo di una speranza che possa garantirgli protezione.
“Non pensare a niente”
Nel covo criminale che, in un batter d’occhio, fagocita Mirko e Manolo, diventare grandi non significa altro che sciogliere i vincoli, con una realtà standard per annodarne di nuovi con una realtà di manipolati e manipolatori, ma specialmente spettri del passato che possono essere elusi soltanto “non pensando a niente”. A suggerire questo è l’acerba e spicciola nuova filosofia di Mirko, la più spietata metà della coppia di amici: ogni storia di scalata al potere ne prevede una così e, dalla parte opposta, una più zoppicante.
La parte instabile, come si può dedurre, è invece Mirko; tormentato dal senso di colpa per l’errore che commesso e per il torto che ne consegue. È Mirko quello più ingenuo, quello più fragile, che vive un rapporto viscerale con l’onnipresente madre (Milena Mancini).
L’incipit dell’incidente, e tutto il primo convincente atto, fa da apripista a quella che è, più che una scalata al potere, l’eterna attesa delle ricompense dorate e del “paradiso”; elemento che diverse opere dello stesso stampo mostrano con lo scopo di controbilanciare e sottolineare con la seguente classica caduta nel baratro.
Ne La terra dell’abbastanza no. Qui i protagonisti rimangono concatenati alla loro miseria, senza mai raggiungere alcun apice, e non c’è scampo. Mirko e Manolo sono ammanigliati in un limbo mefitico e nauseabondo; tutto ciò che hanno è un miraggio, il sogno di potersi riscattare dallo squallore delle loro vite. Un sogno che, nel regno dei criminali, si traduce nella massima ambizione concepibile, ossia il poter finalmente “ammazzare qualcuno”. Come nei gangster movies di una volta, quelli che non ci sono più. Non basta che un’attività sia prolifica, come lo è la vendita di prostitute minorenni nel film. Bisogna che ci sia onore in quello che si fa, bisogna che ci sia il merito di quello che si ottiene.
Guarda il trailer ufficiale de La Terra Dell’Abbastanza
Il mondo reale, però, non è come quello dei film e non si parla neppure lo stesso linguaggio. Gli eroi non esistono, gli amici e gli amori svaniscono e i morti sono cadaveri che puzzano. Tutto, ne La terra dell’abbastanza, puzza di morte, non c’è elevatezza o riconoscimento morale. Quella del film è una storia che definire “parabola” sarebbe inopportuno, perché non v’è una cima, un culmine; è una linea piatta, e ha una fine prossima. La terra dell’abbastanza sa, tutto sommato, di già visto e, nonostante il talento interpretativo degli attori (tutti, non solo i protagonisti), risulta abbastanza prevedibile nelle svolte narrative più rilevanti, ma anche piuttosto efficace nel raccontare quello che è la prevedibile, stupida banalità del male.