Anna mostra il valore del giornalismo e cosa siano i veri soprusi
Il cinema ha sempre incrociato la sua strada col giornalismo, sia per quanto riguarda le trame di cui parlare nei film, sia per quanto riguarda la vita reale, come ha purtroppo ricordato a tutti lo Scandalo Weinstein. Due destini, quelli di settima arte e quarto potere, che sebbene non siano sempre andati paralleli, hanno comunque riportato alla luce storie o fatti di cronaca memorabili. Tutti gli Uomini del Presidente, Professione: Reporter, Blood Diamond e Quarto Potere stesso hanno narrato con differenti intenzioni le dinamiche del reportage, ma nessuno aveva ancora dimostrato cosa sia l’altro lato del giornalismo quanto Anna.
Il film di Charles-Olivier Michaud, realizzato nel 2015 ma ancora inedito in Italia, oggigiorno potrebbe quasi sembrare un approfondimento didattico diretto proprio allo show business, per far rendere conto alle moltitudini di personalità che hanno urlato allo scandalo di cosa si parli quando si tirano in ballo seriamente i soprusi sessuali e di genere. Anna, tra le altre cose, non solo dimostra fisicamente le conseguenze della violenza sessuale come nessun film avrebbe il coraggio di fare dopo gli scandali sessuali, ma mette in risalto un aspetto inedito del giornalismo ben poco esplorato dai registi, ossia i rischi fisici diretti che un reporter corre ogni giorno sul campo, con conseguenze che il più delle volte si spera non siano le stesse passate da Anna.
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“L’unica cosa che mi ha tenuta in vita era provare a capire il motivo per cui ero lì [il luogo dove Anna viene tenuta prigioniera, violentata e sfregiata]. Alla fine non me l’hanno detto, e quando ho accettato che nulla aveva senso, mi sono lasciata morire.”

Girato tra Bangkok e Montréal, Anna si concentra sulle indagini di una fotoreporter che vuole fare luce sul traffico di vite umane tipico della regione, dove l’attività della protagonista si concentra nel substrato malavitoso della città. La giornalista si ritrova in prima persona a fotografare e intervistare giovani donne che hanno vissuto violenze fisiche e sessuali sin dall’infanzia, seguendole nei luoghi degli abusi, finendo persino nascosta in un armadio assistendo direttamente ad uno stupro, di cui il regista non risparmia i dettagli peggiori alla vista dello spettatore.
Anna si spinge talmente a fondo nella sua ricerca da permettere alla trama di raccontare qualcosa di ancora inespresso al cinema: da narratore dei fatti di cronaca, la giornalista passa dall’altro lato, e subisce tutta una serie illimitata di soprusi che nel momento in cui si verificano riescono a far accapponare la pelle allo spettatore. Anna Mouglalis, attrice protagonista del film, è perfetta nel rendere nitido il cambiamento irreversibile che la psiche della giornalista è costretta a subire dopo gli avvenimenti più cruenti, catapultando il film verso una piega introspettiva che ben poco ci si aspetta da un film sulle violenze sessuali, specialmente di questi tempi.
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“Mi chiamo Anna Michaux, sono una giornalista. Faccio inchieste, scatto fotografie. Raccolgo testimonianze che riporto sempre con un grande senso di obiettività, al fine di far emergere la verità. Faccio del mio meglio per tenere i fatti separati dai miei commenti, così da rimanere oggettiva. È il mio lavoro e io lo amo.”

L’indagine condotta dalla giornalista si incrocia con quella promossa dal regista, che coglie gli spunti dal cinema classico del genere, dando ad Anna una personalità a cavallo tra David Locke, Maddy Bowen e Paul Avery, tingendo le ambientazioni di circostanze simili a quelle intraviste ne Il Cacciatore. Proprio da una di queste circostanze parte il viaggio che condurrà la protagonista alla sua destinazione finale, la verità, quella intensamente agognata da ogni giornalista, ma per fortuna quasi sempre sfiorata, perché il modo in cui Anna riesce ad arrivarci è quello della violenza, della privazione della personalità, del desiderio di morte come unica soluzione al gioco del gatto e del topo. Anna ricongiunge così il cammino del reporter a quello della donna che vive in prima persona ciò che vuole raccontare.
Lo fa nel modo preferito dai cineasti francesi, spingendo al massimo sul pedale dell’eccesso narrativo, fondendo il caposaldo della Nouvelle Vague “la cinepresa come penna per prendere appunti” alle sfumature più crude del Naturalismo letterario. Ne emerge un film unico – sebbene lo stile registico sia pressoché il medesimo adottato dalla maggioranza dei cineasti odierni – che riesce meglio di tanti altri ad immergere lo spettatore nel vero messaggio della sceneggiatura, ossia quel che resta impresso nella psiche di un individuo, nella fattispecie una donna, una volta privata di tutto ciò che la rende tale, senza risparmiare neanche un frame dal mostrare la violenza per quella che è, una via senza ritorno per la sete giustizia.
Anna verrà rilasciato in Italia il 31 maggio 2018 da Distribuzione Indipendente, il trailer è disponibile qui.