Saranno venti a novembre gli anni che dividono Gabriele Muccino dal suo esordio nel lungometraggio. Un film piccolo Ecco fatto, produttivamente parlando, che debuttò al Torino Film Festival del 1998, e che fece subito capire che dietro la macchina da presa c’era un trentenne che del cinema aveva un’idea ben chiara. Lo confermò pochi mesi dopo, arrivando in Laguna con gli adolescenti di Come te nessuno mai, veri, vitali, figli nostrani del Breakfast Club di John Hughes, sempre pronti a correre a perdifiato per inseguire l’amore. O, molto più semplicemente, la vita. Quella che va stretta ai trentenni irrequieti e insoddisfatti de L’ultimo bacio, film epocale per il cinema italiano che scatenò un conflitto all’interno di una generazione piena di speranze prestissimo disilluse. Muccino forse tutto questo lo aveva già previsto, per questo accarezza i suoi personaggi con le dolcissime note di Carmen Consoli, li sconvolge con la vorticosa partitura di Paolo Buonvino (sei film insieme), li frulla con il montaggio di Claudio Di Mauro (cinque collaborazioni, compreso A casa tutti bene) e li versa in un’Italia già quasi senza speranza nel successivo Ricordati di me, dove famiglia, amore, amicizia sono solo parole, svuotate di senso.
Quello di Gabriele Muccino è un cinema popolare, nel senso più nobile del termine, perché vicino ai gusti del pubblico, e il botteghino non mente mai, ma anche perché attraverso storie assolutamente universali, dalla prima volta alla crisi di mezz’età, dal riscatto sociale al tradimento, ci ha raccontato quello che siamo. Una capacità rara, che non a caso lo ha portato fino alla Hollywood che conta, che di questo da sempre si nutre. L’unione tra la retorica cinematografica a stelle e strisce e il pragmatico talento del regista romano ha portato a quattro film, di cui uno, il primo, La ricerca della felicità, sarebbe piaciuto, e non poco, a Frank Capra. E piacque non poco al mondo intero, con oltre 300 milioni di dollari di incassi, portando anche una nomination all’Oscar a Will Smith come miglior attore protagonista.
Attori: il grande amore di Gabriele Muccino. Ne ha formato una generazione, quella de L’ultimo bacio. Giorgio Pasotti, Sabrina Impacciatore, Claudio Santamaria, Pierfrancesco Favino, Stefano Accorsi, Giovanna Mezzogiorno. Ha regalato a Monica Bellucci il suo ruolo più bello in Ricordati di me, e una seconda carriera a Stefania Sandrelli, con tre madri straordinarie in altrettanti film. Si è tolto anche la soddisfazione di dare indicazioni alla signora Jane Fonda.
Ecco, basterebbe questo a spiegare che questi primi vent’anni di cinema di Gabriele Muccino non si possono ridurre a questa pagina. Arrivato a 51 anni, il regista romano è pronto a scrivere nuove pagine di una carriera già straordinaria per un autore proveniente da un’industria che si autodefinisce in crisi da sempre. Come si usa dire, la crisi dev’essere un’opportunità, per molti è invece una scusa. Non per Muccino. Per lui è necessità. Quella di raccontare un’altra storia.