Lo Scandalo Facebook sta costando 80 miliardi persi in borsa e milioni di iscritti in meno
Volenti o nolenti, lo Scandalo Facebook continua ad andare avanti, con conseguenze che, almeno per ora, non stanno avendo un grande eco mediatico, ma che avranno ripercussioni ridondanti sulla vita di tutti. Non solo per la vita sui social, ma anche per l’economia. Il colosso ha infatti perso più di 80 miliardi di dollari e le stime continuano ad andare verticalmente in picchiata, come abbiamo annunciato nei capitoli uno, due e tre di questo tremendo evento dalle proporzioni storiche.
Dall’ultimo aggiornamento di PJN, la prima notizia che ha fatto tremare Mark Zuckerberg e soci è stata la fuga degli investitori. Neanche una settimana dopo il caso Cambridge Analytica, in aggiunta agli interventi politici, ad attaccare Facebook sono anche gli investitori pubblicitari: la BBC, ha riportato che gli inserzionisti britannici infatti minacciano di abbandonare il social, con l’Isba, organismo rappresentante le più grandi agenzie pubblicitarie del Regno Unito, asserente che “Il troppo è troppo”.
Perfino David Kershaw, boss di M&C Saatchi, agenzia pubblicitaria colosso del settore con sede anche a Milano, ha detto che l’idea di passare su altre piattaforme in caso mancanza di garanzie sulla sicurezza dei dati non è uno scherzo aggiungendo che:
Quello che sta accadendo ritengo sia una pressione reale. Non basteranno le scuse di Zuckerberg per rimediare a quello che hanno combinato Facebook e Cambridge Analytica. Penso che i clienti siano arrivati a un punto nel quale il troppo è troppo, e hanno ragione. Per i consumatori i social network sono un servizio straordinario, in cambio del quale vanno condivisi i propri dati, ed è un accordo che la maggior parte degli utenti accetta solo finché quei dati non vengono fatti oggetto di abuso, come accade ora.
La BBC ha inoltre ricordato che i grandi inserzionisti avevano già annunciato il boicottaggio di Facebook e di Google circa un mese fa. Nel caso specifico, fu la multinazionale Unilever, con il responsabile dell’area marketing convinto che “Non possiamo avere un ambiente nel quale i nostri clienti non si fidano di quello che trovano online”.
Il crollo finanziario di Facebook persiste e la politica gli stringe il cappio al collo
Come riporta accuratamente TgCom, i titoli economici dei colossi digitali affossano Wall Street che chiude in netto calo, con il Dow Jones che perde l’1,44% a 23.857,71 punti, il Nasdaq in negativo a 2,93% a 7.008,81 puntii e l’indice S&P500 che cala dell’1,73% a 2.612,62 punti. A farne le spese è soprattutto Twitter che lascia sul terreno il 12,03%. Facebook perde il 4,92%, Google il 4,47%, Microsoft il 4,6%, Amazon il 3,78%, mentre Apple il 2,56%.
Insomma, sarcasticamente parlando, mai come un questo momento, l’essere umano sta gridando all’unisono “viva l’analogico”. Quello che invece si leva dalla Commissione europea è un ultimatum, che il 27 marzo ha chiesto a Facebook di fornire risposte nelle prossime due settimane alla questione Cambridge Analytica. Lunedì sera il Commissario alla giustizia europeo, Vera Jourova, ha mandato una lettera a Facebook, esclamando che l’Ue chiede di sapere se i dati personali degli europei siano stati compromessi ed utilizzati per stilare profili psicologici a fini di marketing politico come avvenuto negli Stati Uniti, e quali misure Facebook intenda intraprendere per evitare il ripetersi di un errore simile.
Richieste scottanti, sopratutto alla luce del fatto che Zuckerberg non si presenterà alla chiamata della Commissione parlamentare britannica sui Media per rispondere alle domande in merito alla scandalo: il Ceo di Facebook avrebbe indicato il capo della tecnologia Mike Schroepfer o il responsabile dei prodotti Chris Cox come candidati per l’audizione. Il presidente della Commissione in esame, Damian Collins ha braccato Zuckerberg, incitandolo a spiegarsi personalmente, se non fisicamente almeno tramite video conferenza.
Negli USA le cose non vanno meglio. Ars Technica ha scaricato l’archivio di tutti i dati raccolti dal social su dispositivi Android, scoprendo che tramite le app di Messenger e Facebook Lite vengono registrati i dettagli su chiamate ed sms effettuati e ricevuti dal telefonino, tra cui informazioni su durata, data e destinatario. Facebook ha sottolineato che l’opzione per raccogliere questi dettagli è disattivabile e che l’opzione è volta a migliorare l’esperienza su Facebook e che quei dati non verranno mai ceduti a nessuno.
Peccato che fino al 2016, complice la negligenza di Android, quest’opzione non era visibile durante installazione dell’app, ma solo dopo il primo accesso, quindi se all’epoca abbiamo involontariamente acconsentito alla pratica, lo storico dei nostri dati è ancora in loro possesso e bisogna disattivare il tutto manualmente. Nel frattempo l’algoritmo è stato aggiornato, permettendo di decidere la priorità dei contenuti in bacheca, perché da ora in poi Facebook mostrerà contenuti geograficamente limitrofi all’utente.
I disertori di Facebook non sono solo i colossi ma anche i loro dipendenti
Il caso di abbandono più eclatante fino ad ora è stato quello di Elon Mus, fondatore di Tesla e SpaceX, che ha rimosso da Facebook le pagine di entrambe le società, a quota 2,6 milioni di utenti. La decisione è arrivata dopo alcune provocazioni lanciate a Musk su Twitter, perché lui stesso aveva risposto al tweet del co-fondatore di WhatsApp con la scoccata “What’s Facebook?”, scatenando i suoi followers.
Una mossa pesante e senza precedenti che riflette la tendenza post scandalo delle aziende di limitare la propria presenza su Facebook. Il ritorno di Tesla e SpaceX sul social è piuttosto remoto. Posizione diversa nei confronti di Instagram, con Musk propenso a lasciare aperte le pagine aziendali sul social fotografico, almeno finché non causerà problemi. Musk si è anche dichiarato un non utilizzatore di Facebook, ritenendosi propenso a credere che la rimozione delle pagine aziendali non rappresenti un pericolo. Le tue multinazionali, infatti, non hanno mai fatto campagne pubblicitarie sul social inquisito.
I didn’t realize there was one. Will do.
— Elon Musk (@elonmusk) March 23, 2018
La decisione di Musk non è rimasta l’unica di questo tipo. Anche Playboy ha cancellato le proprie pagine da Facebook, per evitare di essere in qualche modo complice dell’uso improprio dei dati personali degli utenti, sacrificando così un patrimonio immenso di 25 milioni di like e dichiarando di non avere intenzione di tornare su Facebook che, ovviamente, non ha commentato la scelta di Playboy.
Il dato sottile che dimostra quanto lo scandalo stia avendo effetti sottovalutati proviene dai dipendenti. Un terzo dei lavoratori delle principali aziende tecnologiche, da Microsoft a Amazon, è in procinto di lasciare Facebook, come afferma il sondaggio fatto da Blind, applicazione nata per fare ricerche anonime nelle aziende, con percentuali che, nel caso di Microsoft arrivano al 50% dei dipendenti. La ricerca di Blind è stata condotta su un campione di 2.600 lavoratori, sparsi tra le varie aziende digitali, che alla domanda “state pianificando di lasciare Facebook dopo il caso Cambridge Analytica?”, ha risposto di sì per il 31%.
Le cinque con le percentuali più alte di consenso all’abbandono del social vi sono appunto Microsoft col 50%, Snapchat col 46%, Uber per il 40%, Google al 38% e Amazon il 34%. Tra i dipendenti di Facebook solo il 2% si manifesta predisposto alla diserzione, ma le percentuali registrate, come sottolinea Blind, riguardano solo l’intenzione e non il reale passaggio ai fatti, perché “solo il tempo dirà se veramente un terzo dei dipendenti delle compagnie tecnologiche abbandoneranno Facebook“.
Apple bastian contrario fa la morale a Facebook
A rincarare la dose contro Facebook, in perfetto stile Apple, ci si mette il CEO Tim Cook, che durante un’intervista presso Recode non si è tirato indietro nel dire la sua, riguardo alle tipologie di azioni adottate da Cupertino se lo scandalo fosse toccato ad Apple, sostenendo, quasi impersonificando Steve dall’oltretomba, che “Apple non si sarebbe mai ritrovata in una simile situazione”.
Questo perché la Mela investe da sempre nella salvaguardia dei dati degli utenti, al punto da intralciare l’operato di agenzie come l’FBI per la difficoltà che queste affrontano nell’elaborare i dati provenienti dai clienti Apple, che si oppone alla raccolta di dati da parte di terzi e alla loro eventuale rivendita. Secondo Cook, Facebook aveva il dovere di adottare misure preventive contro l’accesso e l’accumulo di questi dati e che avrebbero di conseguenza limitato i danni causati da Cambridge Analytica.
Potremmo guadagnare tantissimi soldi se monetizzassimo i nostri clienti, nel caso fossero loro il nostro prodotto, ma abbiamo deciso che non lo sono. Non abbiamo intenzione di introdurci in questo modo nelle vostre vite private. Stiamo molto attenti, non vogliamo il prodotti come il porno sull’App Store e nemmeno l’hate speech. Inoltre, continuo a sostenere che l’unico modo per garantire la sicurezza sia affidarsi alla piena crittografia.
Il discorso di Cook è un plauso, ma bisogna ricordare che Apple e Facebook sono prodotti differenti, uno produce e distribuisce hardware e software, l’altro è semplicemente un servizio. In ogni caso, dando anche ragione a Cook, il trattamento dei dati personali esige un trade-off alle grandi aziende, le quali si devono necessariamente schierare tra la protezione degli utenti o la loro monetizzazione.
Sperando che la questione non ci metta in condizione di aggiungere troppi capitoli ulteriori allo Scandalo Facebook, vi ricordiamo di recuperare i tre capitoli precedenti, per comprendere origini, sviluppi e sottotrame della vicenda. Essere consapevoli ed informati significa sapersi proteggere, ma anche sapere di cosa si parla. PJN continuerà a tenervi informati.