Westworld 2×03: la recensione dell’episodio “Virtù e Fortuna” Westworld torna con un terzo episodio ricco di colpi di scena, ma leggermente sottotono rispetto ai primi due episodi di stagione. Ecco la nostra recensione.

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Procede, tra alti e bassi, la seconda stagione di Westworld: dopo un episodio di raccordo (2×01 – Viaggio nella notte) fra la prima e la seconda stagione e uno dal respiro più “cinematografico”, ma soprattutto autosufficiente (2×02 – Ritrovo), giungiamo al terzo episodio della stagione, Virtù e Fortuna. Nell’attesa di poter visitare Shogun World (per chi non lo sapesse, il parco a tema samurai), l’incipit ci mostra l’esistenza di un altro parco a tema: il terzo episodio, infatti, si apre con quella che sembra essere un’introduzione a Raj World, ispirato all’India dominata dai britannici e popolata da tigri meccaniche del bengala.

Nuovi parchi oltre a Westworld

Se la situazione di asservimento degli androidi era più ambigua nel selvaggio West della prima stagione (lo stesso Michael Crichton, d’altronde, basa su questa equivocità la forza della sua opera), sotto l’egemonia britannica la sudditanza degli automi è sottolineata da un’ambientazione favorevole che alimenta le inclinazioni dei visitatori. Si fa più seducente il gioco a indovinare chi è umano e chi non lo è, ma i confini diventano man mano sempre meno sfumati. L’incipit, accompagnato dalle note di una Seven Nation Army suonata da un sitar, espone questa cornice appena prima di calarsi in una scena d’azione che vede una tigre-robot inseguire freneticamente una donna, riflettendo la stessa situazione che si sta presentando in ogni parco: la ribellione degli automi, con conseguente ribaltamento dei ruoli.

dssddsL’episodio, subito dopo, riprende a seguire le direzioni spaziali e temporali già conosciute nei primi due episodi. Si segue la storyline che riguarda una sempre più ferina e schizofrenica Dolores (Evan Rachel Wood) alla ricerca di membri da aggregare al fine di raggiungere il suo scopo. Schizofrenica perché facciamo la conoscenza di Wyatt, nome (o identità?) con cui la donna si presenta ai nemici e ai suoi oppositori, scalzando il nome e la personalità della Dolores “umana” e fragile che ci è stata presentata. Wyatt, tuttavia, rende sempre più complicato riuscire ad affiancare la protagonista nelle sue imprese, persino quando rientra nelle vesti di Dolores in un incontro toccante con il padre, Peter Abernathy (Louis Herthum), momento chiave dell’episodio tanto in termini narrativi quanto emotivi.

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Riesce complicato provare empatia per la donna, dicevamo, perché se Dolores custodisce il padre custodisce anche l’host ricercato dalle forze della Delos, che devono portare a termine una missione principale in un gioco a tappe e a incastri che ha del videoludico. Eccezion fatta per Dolores, di cui scopriamo parte del passato nell’episodio precedente, in Virtù e Fortuna personaggi preminenti vengono approfonditi e personaggi secondari (o, addirittura, di contorno) migliorati nella delineazione della loro psicologia. Un esempio è Teddy (James Marsden), che utilizza il suo libero arbitrio e si rifiuta di eseguire un ordine imposto da Dolores. Più interessante si fa la relazione, inspiegabile agli occhi del direttore creativo del parco Lee (Simon Quarterman), tra Maeve (Thandie Newton) ed  Hector (Rodrigo Santoro), che si tengono per mano e rivendicano il proprio diritto a provare passione e amore per altri individui (siano umani o meno) pur essendo stati designati per essere e rimanere da soli, soprattutto Hector, che doveva amare un’altra donna.

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Se un intreccio tipicamente nolaniano ricco di slittamenti temporali, ma anche di sub-plot poco interessanti, sembra imporsi lo scopo di rendere complesso e macchinoso ciò che è molto semplice, e questa scelta risulta meno affascinante rispetto al rigore logico con cui si susseguivano vicende e svolte narrative nella prima stagione (forte di un’idea di partenza geniale), a rappresentare il punto più basso della seconda stagione finora è senza dubbio La Battaglia di Forlon Hope, tanto attesa quanto priva di emozione, di enfasi laddove se ne necessitava o anche di un qualche memorabile guizzo registico nella messinscena, che risulta opaca e povera. Nulla a che vedere, in ambito seriale, con la Battaglia dei Bastardi, suo corrispettivo in Game of Thrones.

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  • Sceneggiatura (trama)
  • Scenografie (locations)
  • Fotografia
  • Musiche
  • Recitazione
2.9

Federica Cremonini

La sua passione per la settima arte comincia quando, da piccola, scopre una videocassetta di Nightmare nascosta su una mensola in casa. Trascorsi i primi anni di cinefilia ad approfondire l'horror (in ogni salsa), passa alla seconda fase tipica di ogni appassionato: Lynch, Kubrick, Tarantino. Dopo una terza fase fatta di nouvelle vague, cinema russo e New Hollywood, decide che è finalmente pronta a dare la risposta definitiva: il suo cuore appartiene a David Cronenberg.