Tante cose accadono in The Riddle of the Sphinx, quarto episodio della seconda stagione di Westworld, ma sarebbe superficiale e fin troppo facile ridurrle tutte ai pur numerosi plot twist che si susseguono durante lo scorrere della puntata. Personaggi vengono ripresi, altri vengono accantonati, scelte e inquietanti reminiscenze mettono in discussione tutto ciò che credevamo di sapere sui protagonisti di Westworld e che avevamo appreso nella prima stagione. Persino la durata dell’episodio, di ben 70 minuti, è stata adattata alle esigenze di uno script corposo che fa di The Riddle of the Sphinx un episodio focalizzato sull’approfondimento, sulla scoperta e sul colpo di scena all’interno del lento dispiegamento di una seconda stagione caotica e pregna di avvenimenti, ma è anche un episodio sostenuto da una micronarrazione che sembra compiuta, circolare.
L’enigma della sfinge: James Delos
A tutti gli effetti, The Riddle of the Sphinx ci appare come un piccolo film con un inizio, lo svolgimento con una sua azione interna e una conclusione ben precisa, all’interno di un tassello che andrà invece a completare Westworld come prodotto concepito in maniera invece frammentata e in continuo svolgersi. Seriale, appunto. Perché in questo episodio, che continua a moltiplicare le sue linee narrative al presente (talvolta in maniera confusionaria), articola il ritmo una serie di ellissi che ci illustrano la vita e la fine di James Delos (Peter Mullan), fondatore di una compagnia che sostiene la realizzazione del parco a tema.
È proprio nella tragica figura di Delos, dalle pletoriche ambizioni e dai sogni fuori portata, che si fa vivo quell’elemento chrictoniano rimasto finora sopito in questa stagione, riportando la serie (sebbene in parte) alle sue glorie passate. Cavia dell’azienza è quindi il suo stesso creatore, monitorato giorno dopo giorno da un William nel fiore della sua giovinezza (Jimmi Simpson): ma i giorni sono anni, e tanti. Lo dimostra l’improvvisa apparizione, nello stesso luogo in cui Delos è rinchiuso, di un William invecchiato che spezza la circolarità di una routine imperturbabile e ci dà una sommaria cognizione del tempo che è stato speso nel tentare di portare a termine l’esperimento sull’immortalità, destinato a fallire.
Leggi anche: Westworld, la recensione dell’episodio “Virtù e Fortuna”
William scende a patti con il fallimento, che però James non accetta. Il creatore diventa una creazione, che può essere disattivata o spenta. La storyline di Delos confluisce nel presente ed è l’elemento che ci conduce da Bernard (Jeffrey Wright) e una ritrovata Elsie Hughes (Shannon Woodward), i due protagonisti che s’imbattono nell’abbandonato e ormai isterico topo da laboratorio. L’approfondimento di James Delos ci consente persino di meglio comprendere quali avvenimenti abbiano reso William L’uomo in nero. Tuttavia, la bellezza di The Riddle of the Sphinx, che pone quesiti oltre l’universo della serie e rende possibile riflettere su questioni fondamentali riguardo la vita e la sua simulazione, sembra esaurirsi nella linea narrativa di James Delos e delle vicende che ruotano attorno a lui.
Ed Harris e Jimmi Simpson, ma anche il volto consunto di Peter Mullan nei panni del fondatore, sono in grado di sottolineare la statura del dramma e la caduta del personaggio cardine, ma tutto quel che ne è al di fuori è sorretto da un impianto narrativo che pare cercare l’efficacia di scrittura nell’effetto sorpresa fine a se stesso. Il ritrovo di Elsie e la scoperta della natura di Bernard poco apportano all’episodio, e ancor meno la rivelazione finale da parte di Grace, che ha quasi del soap-operistico.
Ad affiancare la scrittura di Jonathan Nolan, che già punta a rendere inestricabile l’intreccio, una regia e un montaggio che non sembrano mai voler facilitare la comprensione di molte delle vicende, rendendo farraginoso lo scorrere di ogni episodio e piuttosto arduo familiarizzare con personaggi che vengono spesso utilizzati come semplici pedine di un gioco a tasselli. L’interessante Bernard (Jeffrey Wright), che dovrebbe essere uno dei protagonisti chiave, più di chiunque altro.