ATTENZIONE: LA RECENSIONE CONTIENE DEGLI SPOILER
Hannah Baker (Katherine Langford) aveva almeno tredici buone ragioni per porre fine alla sua vita, e decide di registrarle su cassetta per portarle alla luce. La prima stagione ruota intorno a quelle stesse motivazioni, spiegandole attraverso la voce della defunta protagonista, per tentare di alleviare lo stigma sulla depressione adolescenziale.
Il format della serie rimane lo stesso: tredici episodi, tutti riguardanti una persona diversa, la cui storia si intreccia con le altre. E’ uno schema già visto, che può dare la sensazione di riguardare la stagione precedente; i contenuti, però, sono molto più oscuri e delicati di ciò che è stato trattato l’anno scorso.
Gli eventi si svolgono in aula, davanti ad un giudice. La famiglia Baker ha citato in giudizio la Liberty High School, accusando il corpo docente di negligenza riguardo gli atti di bullismo che avvenivano per gli sterili corridoi scolastici.
Ogni ragazzo citato nell’inusuale testamento viene chiamato a deporre, per suonare la sua campana e mostrare la verità. Alcuni, come Tyler o Courtney, espongono le loro realtà in modo oggettivo, in un vano tentativo di espiare le proprie colpe. Altri, invece, sono spaventati, in particolare da Bryce, e mentono per salvarsi la pelle.
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Diciamoci la verità: la seconda stagione non ha ragione di esistere. Non c’era alcuna motivazione che potesse spingere a spremere la trama auto-conclusiva della prima, se non la mera curiosità degli spettatori. Bryce la pagherà? Justin tornerà a casa?
La storia viene riciclata e approfondita, come se le cassette fossero lo scheletro di uno schema più grande, e ha senso. Chi ha scritto la serie cerca di farci avere un’idea di chi veramente conserva le colpe di quel gesto sconsiderato, ma lo rende dannatamente difficile.
E’ inevitabile sentirsi frustrati dal continuo scombussolamento dei fatti. Un attimo prima, quel personaggio è spregevole; un attimo dopo provi compassione per lui, per poi tornare a odiarlo solo qualche scena più tardi. Nonostante il riciclo dei primi tredici episodi, questo rende la psicologia dei ragazzi notevolmente realistica.
Tredici 2 riesce a centrare il bersaglio egregiamente,e mostra la natura contraddittoria dei disturbi mentali, della depressione, della semplice adolescenza.
Quello che fa Hannah manca di senso logico. Lei non chiede esplicitamente aiuto, lei non dice di no a Bryce e nonostante Justin le abbia fatto del male, continua a bramare le sue attenzioni perché una mente malata, è confusa.
I protagonisti
Skye non è da meno. Alla fine della prima stagione sembra quasi la “sostituta” di Hannah, che Clay vede come una seconda occasione per riuscire in ciò che avrebbe voluto fare per la Baker: aiutarla. Jensen si dimostra iper-protettivo, pressante, tentando di sopprimere il desiderio che Skye ha di ferirsi. Andando avanti, si dimostra una ragazza terribilmente emotiva ed eccentrica, che non riesce ad accettare che il suo ormai ragazzo sia ancora turbato dal suicidio della cara amica. Denota una certa mancanza di empatia, che viene giustificata poi, con la diagnosi del bipolarismo. Penso che nessuno spettatore l’avrebbe etichettata come bipolare. Può essere definita autolesionista, depressa, immatura, “particolare”; ma bipolare è un termine inaspettato, ed è così che nel mondo reale succede.
Le persone, in particolar modo gli adolescenti, hanno la tendenza a sminuire ciò che non è palese. Una persona non può essere depressa se non è continuamente triste, non può avere disturbi psichiatrici se non ne mostra i sintomi in pubblico. Su questo si basa l’intera sceneggiatura, e non è da sottovalutare.
Il personaggio di Tyler è quello decisamente più sconvolgente. Nella prima stagione è uno strano ragazzo con uno scarno concetto della privacy, soggetto di bullismo e quello più propenso ad imitare Hannah. Con il passare delle ore, è stato ribaltato completamente. Gli episodi che lo riguardano sono tra quelli visivamente più espliciti e dolorosi, come la scena finale con Montgomery.
Anche in questo caso, Brian Yorkey sfiora un argomento delicatissimo: le motivazioni dietro alle sempre più frequenti sparatorie scolastiche. Tyler afferma di stare bene, mentendo anche alla nuova psicologa scolastica, a dimostrazione del fatto che nonostante tutti sentano di avere delle colpe, nessuno avrebbe potuto conoscere i sentimenti di Hannah, che li ha (quasi) sempre nascosti efficientemente.
Bryce si rivela ciò che tutti si aspettavano: un personaggio piatto, privo di spessore. Un semplice e classico “jock” con nessuna backstory drammatica, solo un grande senso di potere dovuto alla sua elevata posizione sociale.
Il finale
Finale aperto anche per questa nuova season, con un disperato Clay alle prese con la polizia. In mano ha il fucile d’assalto che Tyler ha portato al ballo, e accanto a lui Justin e Jess si domandano cosa dovranno fare. Una conclusione senza senso.
Nessuna persona con senso critico difenderebbe un gesto del genere, nessuno uscirebbe di corsa di fronte ad un ragazzino instabile e armato invece di chiamare i soccorsi. E quando vengono chiamati, per quale motivo Tony dovrebbe scappare con lui nella sua appariscente auto rossa?
Clay si prende delle belle responsabilità, e probabilmente ne sapremo di più in Tredici 3.
La scenografia
Le location sono le stesse della season scorsa: la Liberty High ospita quasi tutte le vicende passate e presenti, con qualche eccezione per le rispettive dimore e il café Monet.
Viene introdotto il nuovo scenario, il clubhouse, rifugio segreto per gli atleti mostrato con la prima polaroid. “Quello che succede alla clubhouse, resta nella clubhouse”, o almeno questa è la regola.
Il tutto è comunque curato nei dettagli, nonostante l’inevitabile aspetto anonimo che si addice ad un liceo americano.
La fotografia
Come nel primo capitolo di Tredici, le riprese ambientate nel presente sono caratterizzate da toni freddi e inospitali; mentre i flashback godono di una luce calda e avvolgente. Non un difetto, ma neanche qualcosa di notevole: Hannah Baker sembra aver vissuto perennemente al tramonto.
La colonna sonora
Le canzoni che accompagnano le avventure di Clay Jensen e i suoi dodici sfortunati compagni, sono le stesse che lo hanno fatto nel 2017. Non c’è quasi nessuna novità nel mix che fa da sottofondo alle loro storie. La canzone “The night we met” nell’ultimo episodio porta indietro nel tempo non solo gli studenti della Liberty, ma anche gli spettatori, con non poca malinconia.
Recitazione
Il cast si è dimostrato nuovamente all’altezza di ciò che viene proposto. In particolar modo Miles Heizer (Alex) e Devin Druid (Tyler) sono stati in grado di mostrare quelle potenti emozioni che proverebbero in una situazione reale. Stendall è palesemente frustrato: non riesce a ricordare, non riesce a camminare, e anche lo spettatore può sentirlo.
Druid è riuscito a portare alla luce lo sconforto di un ragazzo deluso dalle istituzioni, cosciente che persino i genitori faticano a capirlo. C’è una metamorfosi da un adolescente arrabbiato e impotente, a un giovane uomo stufo di restare da solo e che cerca giustizia (in modo sbagliato).
Anche Kate Walsch (Olivia Baker) riesce a posare come una madre in conflitto con sé stessa, forte abbastanza per capire di dover lottare e andare avanti, ma ancora debole da non lasciare sua figlia nel passato.
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Riassunto
Netflix ha allargato una storia che non ne aveva bisogno, in quanto decisamente auto-conclusiva. Riesce comunque a raggiungere il suo scopo: quello di sensibilizzare riguardo ai disturbi psichiatrici che possono affliggere gli adolescenti. Lo fa con grande realismo, un’enorme quantità di comprensione, e tanta empatia.